In principio fu la scuola. Poi è stata la volta della sanità in alcune Regioni, e ora gli enti locali esplorano gli affidamenti in house: sono sempre di più, in diversi comparti, le pubbliche amministrazioni che tornano all’insourcing (anche) dei servizi di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati. Non casi episodici, ma veri e propri “trend”. Ma cosa c’è dietro? A chi giova questo ritorno a una prassi che sembrava ormai appartenere al passato?
Uno spettro si aggira per il mercato. E stavolta non si chiama Covid, e nemmeno revisione dei prezzi, incertezza per la crisi energetica, tirate d’orecchi dall’Europa su subappalto e avvalimento o nuovo Codice dei contratti in via di riformulazione.
Reinternalizzazione nella PA, attenzione
Si tratta di una tendenza che, se confermata, rappresenterebbe una vera e propria bomba capace di togliere significato a tante battaglie per l’emersione del settore, per la qualificazione degli operatori, per la libera concorrenza e per la professionalizzazione delle imprese. Anzi, costituirebbe un inatteso “ritorno al passato”.
La parola-chiave è reinternalizzazione, un fenomeno che, partito dapprima in sordina, adesso si sta facendo sentire con numeri sempre più allarmanti, tali da erodere ampie fette di mercato in quasi tutti i comparti, specialmente nel settore pubblico. Proprio mentre l’Europa, con una serie di recenti pronunciamenti proprio sul sistema dei contratti pubblici in Italia, apre al libero mercato e al favor partecipationis. La preoccupazione delle imprese, anche di dimensioni e volumi d’affari significativi, la dice lunga.
Il caso scuola
In principio, come i più attenti senz’altro ricorderanno, ci fu la questione dei lavoratori socialmente utili nel comparto scuola. Complici le difficoltà legate alla mega-convenzione Consip Scuole bloccata dall’Antitrust già nel 2016 (sembrano passati secoli…), nel comparto istruzione si è assistito a una “marcia indietro” che ha previsto fra l’altro l’assunzione massiva degli ex lavoratori socialmente utili tramite concorsi ad hoc banditi dal Ministero, con conseguente estromissione delle imprese di pulizia/multiservizi affidatarie. Ricordiamo en passant che, ad oggi, per le scuole non è più possibile affidare ordinariamente i servizi di pulizia a imprese esterne, ma occorre avvalersi dei collaboratori scolastici (un tempo erano molte le istituzioni scolastiche che, invece, ricorrevano all’outsourcing almeno per una determinata tipologia di servizi di pulizia).
Sanità e servizi di supporto in Puglia
Ma non era che l’inizio: il caso scuole è stato per così dire l’apripista. Ha “fatto scuola”, è proprio il caso di dirlo. E altri non hanno esitato a mettersi in scia. Un esempio arriva anche dalla sanità, altro settore di grande interesse per le imprese di servizi, molte delle quali negli anni hanno maturato un solido know-how e acquisito una notevole specializzazione nel comparto. Da inizio 2017, in Puglia, si è avviato un processo di reinternalizzazione di servizi, in particolare quelli di pulizia e sanificazione, che ha portato nel volgere di pochi anni alla costituzione di aziende in house che hanno sottratto al mercato un’importante fetta di attività. Si parla di servizi di supporto alla sanità, ma la tendenza è ben evidente.
In house per “saltare” i bandi
Ma c’è anche un terzo fronte, se vogliamo ancora più allarmante: ci riferiamo alla prassi, sempre più diffusa presso gli Enti locali (soprattutto Comuni), dell’affidamento in house di un numero crescente di servizi, tra cui manco a dirlo quelli legati all’igiene, sia urbana (dove ormai l’in house è ampiamente sdoganato), sia, sempre più frequentemente, degli edifici pubblici (municipi, uffici amministrativi, strutture di pertinenza comunale, ecc.). Un metodo che consente di “aggirare” la prassi del bando, e che naturalmente esclude dalle gare i soggetti esterni. E si torna al medesimo problema.
Si torna indietro?
La domanda è inevitabile: a chi giova questo processo di “rewind” che ci fa tornare d’un balzo agli scenari di qualche decennio or sono? Cosa c’è alla base? Il miraggio di un risparmio in tempi difficili? La volontà di smarcarsi da procedure di affidamento che, negli ultimi anni, sono state foriere di difficoltà burocratiche e contenziosi (vedi caso Consip)? E la qualità? E i controlli? Siamo sicuri che, come troppo spesso accade, l’aspetto maggiormente penalizzato non sia proprio quello della qualità del servizio? Siamo certi che, in fase di verifica e controllo, l’ente pubblico avrà con i gestori in house il medesimo approccio rigoroso ed esigente che sta dimostrando di adottare con imprese esterne? O prevarrà invece un atteggiamento “lassez-faire” che andrà giocoforza a scapito della qualità del servizio, e dunque della sicurezza di tutti proprio in un momento in cui l’igiene si è confermata un valore indispensabile? Possibile che il Covid non ci abbia insegnato nulla?
Chi ne trae vantaggio?
E ancora, chi si avvantaggia di un processo che sembrava appartenere al passato? A patto che si realizzino veri (e durevoli) risparmi, c’è solo l’aspetto economico? Non sembra: senza dubbio, ad esempio, pesano le pressioni delle organizzazioni sindacali, che specie in un momento di difficoltà, crisi e incertezza come l’attuale tendono a preferire impieghi di natura pubblica rispetto alle imprese, che potenzialmente, come datori privati, offrono meno garanzie di stabilità e, in alcuni casi, di solvibilità economica. Anche i lavoratori, dal canto loro, tendono a sentirsi più tutelati sotto l’ala protettrice dello Stato o degli Enti locali, come ha dimostrato, già nel 2018, il lungo braccio di ferro, a Roma, fra Campidoglio e sindacati-lavoratori sull’affidamento del servizio scolastico integrato.
Troppi casi e troppo diffusi: non fenomeni sporadici, ma un vero e proprio “trend” da monitorare
Ciò che è certo è che i casi di reinternalizzazione iniziano a diventare troppi -e troppo trasversalmente diffusi dal nord al sud della Penisola- per continuare a sfuggire ai radar ed essere trattati come “casi sporadici”. Le imprese se ne stanno accorgendo, e non nascondono una crescente preoccupazione: dov’è finito il favor partecipationis evocato in innumerevoli sentenze nazionali e comunitarie? Dov’è quell’apertura al mercato che l’Europa a più riprese ci ha chiesto (o, meglio, imposto)? Si tratta di un tema da seguire con attenzione, perché quello che si va delineando è un vero e proprio trend che merita un attento monitoraggio. Magari con qualche dato e numero alla mano.