(tratto da “GSA” n.9, Settembre 2010)
Alla V Conferenza Europea dell’ospedale, organizzata dal CNETO, il messaggio è stato chiaro: il futuro è degli ospedali ecosostenibili, che sapranno guarire i pazienti senza far ammalare l’ambiente. Consumi energetici, traffico di veicoli e persone e produzione di rifiuti le direzioni in cui muoversi per migliroare l’impatto ambientale delle strutture.
Ogni tanto, una buona notizia. Sul sito www.buonenotizie.it è apparso in maggio un articolo che fa ben sperare sul versante dell’ecocompatibilità delle strutture sanitarie. Nel pezzo, a firma di Maria Valentino, si parla a chiare lettere di una “rivoluzione verde” che sta investendo gli ospedali. In sostanza, si parla di ridurre l’energia necessaria per far funzionare le strutture, di tenere conto sempre più delle fonti rinnovabili, di limitare la produzione di rifiuti, di riorganizzare i cicli di lavoro e di progettare gli edifici in modo da ridimensionare l’impronta ecologica. I principi-cardine sono stati fissati dalla V Conferenza europea dell’ospedale, svoltasi in maggio a Roma e promossa dal Centro Nazionale per l’Edilizia e la Tecnica Ospedaliera (Cneto) e dall’Università Cattolica di Roma.
L’ospedale: un edificio (decisamente) energivoro
Parlare di edificio verde è facile, e in alcuni casi il rischio è addirittura quello di sconfinare nel retorico. In effetti, però, in tema di strutture ospedaliere la faccenda è complicata, perché vi sono innumerevoli fattori che non possono essere messi in secondo piano. Sono diversi infatti gli aspetti da considerare: innanzitutto, cosa che non molti immaginano, occorre tenere presente che gli ospedali sono, dopo le industrie di trasformazione alimentare, le seconde tipologie di edificio in assoluto più “energivore”, ossia che consumano le maggiori quantità di energia (cfr. Gsa n. 4/2009, pp. 13 sgg). Si tratta senza dubbio di un indicatore di impatto ambientale piuttosto significativo, a maggior ragione se si considera che il consumo energetico di un ospedale è in funzione di superficie, volume e fattore di forma; numero posti letto; età di costruzione dell’edificio; tipologia di attività di ricerca e insegnamento svolte, di prestazioni sanitarie erogate, di servizi svolti in “in” o “outsourcing”, zona climatica, conformità alle norme di accreditamento e tecnologie installate. Gli ospedali, a ben pensarci, sono strutture che necessitano continuamente di energia: lo spostamento delle persone, l’attivazione di strumenti e impianti, l’illuminazione degli spazi sono solo alcune delle attività energivore, che d’ora in avanti, stando alle nuove tendenze, dovranno essere svolte in un’ottica di attenzione all’ecologia. Ricapitolando: le principali fonti d’inquinamento in un nosocomio sono i consumi energetici (pensiamo ad esempio che, diversamente da altre strutture, il funzionamento di un ospedale è richiesto 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno), i rifiuti ospedalieri e il traffico veicolare legato agli spostamenti di pazienti e staff. E proprio in queste direzioni bisogna lavorare.
Un po’ di storia recente
A Roma si è parlato di standard ed esperienze riguardanti gli ospedali verdi. In effetti, va detto, gli standard per gli edifici verdi, o “green buildings”, non sono una novità: la tendenza arriva dagli Stati Uniti, dove è operativa da tempo la certificazione volontaria Leed dell’U.S. Green Building Council, che prevede un approccio integrato alla progettazione che tenga conto delle potenzialità del sito, della conservazione dell’acqua, dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili, dei materiali e della qualità dell’aria interna (vedi GSA 8/2010).Ma non è tutto: nel 2002 l’ASHE, American Society for Healthcare Engineering, ha pubblicato le prime Linee-guida sulla progettazione che promuovono un approccio ecologico in sanità: per quanto riguarda gli edifici sanitari, la Green Guide for Health Care è stata pubblicata sempre nel 2002 su autorizzazione dell’USGBC, poi via via aggiornata e implementata negli anni successivi. L’importanza del documento è legata al fatto che si è trattato del primo strumento volontario che indica le best-practices della progettazione ecologica degli ospedali. La guida, in cui è ribadita l’importanza di una progettazione integrata, è divisa in due parti (costruzione e gestione) e cinque categorie (performance management, site and water, energy and atmosphere, indoor environmental quality, materials and waste). Molto interessanti gli obiettivi: ottenere i minori costi di esercizio per le nuove costruzioni, incoraggiare il miglioramento continuo dell’efficienza energetica nelle nuove costruzioni, assicurare una buona qualità dell’aria interna, creare e mantenere un salubre ambiente di lavoro, facilitare l’aumento di produttività degli operatori, specificare soluzioni per ridurre il costo dei materiali, considerare i costi operativi a lungo termine dell’edificio. Non a caso proprio dagli Stati Uniti è arrivato un forte input in senso ecologico, che si è tradotto, durante la Conferenza europea, nelle parole dell’architetto americano Roger Hay, preside della Ratcliff di Emeryville (California), che ha sottolineato, nel suo intervento, la concreta possibilità di progettare luoghi di cura in modo ecosostenibile affermando con chiarezza che “il futuro è dell’ospedale verde”.
Cosa fare nel concreto
Secondo Hay, solo un ripensamento globale del luogo di cura, dal momento della sua progettazione alla sua gestione potrà cambiare le cose: l’ospedale ecosostenibile e’ fatto con materiali rispettosi dell’ambiente, funziona a risparmio energetico sfruttando al massimo la luce naturale e adottando soluzioni nanotecnologiche per produrre involucri, filtri di impianti di aerazione, pavimenti, elementi di arredo nanotecnologici, il tutto con capacità anti-inquinanti (mangiatori di smog), antibatteriche e autopulenti. Anche la gestione ottimizzata dello staff ospedaliero contribuirà a ridurre il peso dei luoghi di cura sull’ambiente.
I costi: maggiori, ma ammortizzabili
Soffermandoci sui costi: è vero, la costruzione di un ospedale verde rappresenta un investimento maggiore dall’1 al 7% rispetto a una struttura tradizionale. Inutile nasconderselo, è così: ne è un esempio, sempre negli USA, l’avanzatissimo (e costosissimo) Dell Children’s Hospital di Austin, nel cuore del Texas, interamente costruito seguendo criteri di ecosostenibilità e diventato il primo ospedale al mondo a ricevere una certificazione Leed Platinum (una sorta di Oscar dell’ecosostenibilità) dall’US Green Building Council. C’è da dire, tuttavia, che grazie al recupero energetico il costo iniziale potrà nella maggior parte dei casi essere ammortato in un tempo che va dai 3 ai 5 anni (a patto, naturalmente, che la gestione sia buona e coerente). Senza contare il guadagno in termini di efficienza e qualità della vita e dell’ambiente. In un buon ospedale verde, insomma, ogni struttura dovrà essere studiata per produrre un risparmio energetico. Si parla di approccio sostenibile, che si traduce nel massimo efficientamento energetico unito alla riduzione dei rifiuti prodotti e all’ottimizzazione dei servizi offerti: un sistema, insomma, in cui, per dirla semplice, ci guadagnano tutti…
L’impronta ecologica
Forti delle indicazioni da oltre atlantico, possiamo tornare nella nostra Italia con maggiore cognizione di causa. Un metodo sempre più usato per quantificare l’impatto energetico di una struttura (o anche di un singolo individuo) è la cosiddetta “impronta ecologica, un indicatore che misura quanta superficie terrestre viene ‘consumata’ per svolgere qualunque attività o per offrire qualsiasi servizio. Si legge su buonenotizie.it: “Un nosocomio di vecchia concezione ‘brucia’ da 140 a 185 metri quadri per posto letto”. Un esempio concreto: una struttura come il Policlinico Gemelli di Roma, dotato di 1900 posti letto compresi Day Hospital, posti in Riabilitazione e nel Complesso integrato Columbus, ha un’impronta ecologica di circa 26,6 ettari. Senonché adottando semplici accorgimenti, dalla luce naturale alla lotta al Pvc e al traffico controllato, anche gli ospedali possono allungare la vita al pianeta, dimezzando l’impatto sull’ambiente. Fra le principali voci dell’inquinamento ospedaliero, infatti, ci sono i rifiuti, tra cui molti materiali in plastica. Ecco perché i nuovi ospedali a misura di ambiente puntano a ridurne la produzione o a sfruttare al massimo la luce naturale.
Dalla progettazione alla gestione: tutti i passaggi di un ospedale “verde”
E qui entra in scena il cosiddetto lean design, che si traduce in una progettazione mirata alla riduzione o, quantomeno, alla razionalizzazione dei costi e dei tempi di realizzazione, e che si applica non soltanto alla fase della costruzione, ma anche agli aspetti gestionali. Si parla, ad esempio, di riorganizzazione del personale medico e paramedico per ridurre la necessità di personale full-time e aumentare il numero di visite al giorno: in questo modo è possibile offrire gli stessi servizi in luoghi di dimensioni più ridotte, e impiegando un numero sempre più controllato di risorse.
Un caso italiano: l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze
Un esempio pratico di ospedale sostenibile, in Italia, è quello dell’Ospedale Pediatrico Anna Meyer di Firenze, che negli ultimi anni si è trasferito in una sede tutta nuova, base essenziale per la politica di ecosostenibilità che lo contraddistingue. Quella del Meyer è la prima struttura ospedaliera italiana progettata e realizzata per ridurre le emissioni inquinanti nell’aria, e che fa della sostenibilità ambientale il suo obiettivo principale. Celle fotovoltaiche, giardini verdi sui terrazzi e sul tetto, piccoli e grandi accorgimenti rendono il Meyer il primo Ospedale bio-sostenibile d’Italia. A questo si affianca la scelta già adottata dalla Fondazione Meyer di avviare da subito il percorso di certificazione Bio-Habitat per tutto il verde che circonda l’Ospedale. Un percorso che comporta impegni precisi, quali, ad esempio, il non utilizzo di concimi di sintesi (fitofarmaci) nella cura del verde e il compostaggio degli scarti di manutenzione del parco. A tutto questo si aggiungono importanti iniziative mirate a stimolare la cultura dell’ecosostenibilità, come la bio-kermesse “il giardino senza bua”, organizzata lo scorso anno proprio al Meyer: un giardino bio per i piccoli pazienti che coincide perfettamente con le scelte gestionali di tutela della salute, a partire dagli arredi da giardino realizzati in materiali riciclati come i vasi di riso. E ancora: un giardino sostenibile dove si conduce la lotta alle zanzare in modo assolutamente bio, dove si produce biochar secondo una tecnica antica che, utilizzando gli scarti del verde, permette di generare gas formando come residuo un fertilizzante bio e in cui si utilizzano le nanotecnologie applicate alla conservazione dei materiali da esterni (legno e pietre) capaci di evitare il degrado di panchine, fontane e pavimentazioni. Il Meyer, del resto, aveva già dimostrato la propria sensibilità nell’affrontare i temi ambientali con soluzioni d’avanguardia, quando realizzò la “serra fotovoltaica”, che nel 2006 vinse il primo premio nel programma “Alta valenza Architettonica” bandito dal Ministero dell’Ambiente. Ma quello del Meyer non è l’unico esempio di struttura ospedaliera bio-sostenibile in Italia: in provincia di Cuneo, e precisamente a Verduno, sta sorgendo il nuovo ospedale Alba-Bra. Parola d’ordine: aiutare le persone a guarire senza correre il rischio di fare ammalare sempre di più il nostro pianeta.
Simone Finotti