Commentare, criticare o semplicemente “linkare” sui social può costare il posto di lavoro? Sì e no, dipende da caso a caso. Una cosa però è certa: se insulti il tuo datore o l’azienda, bene che vada una multa non te la leva nessuno.
E’ questo il senso complessivo che si evince da una lunga serie di recentissimi pronunciamenti, su scala locale ed europea, che hanno al centro proprio la dibattuta questione del comportamento tenuto dai dipendenti sui canali di comunicazione virtuali.
Partiamo, in ordine di scala territoriale, dalla sentenza n. 35786 (15 giugno 2021) della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che caso vuole ha affrontato proprio il caso di una dipendente da un’impresa di pulizie turca reintegrata dopo il licenziamento convalidato dai giudici nazionali (e considerato sproporzionato dalle toghe di Strasburgo). Si tratta del pronunciamento più favorevole al lavoratore, ma in questo caso si parla di like apposti su post di attualità e critica politica, e comunque di interesse generale.
Sulla stessa scia si colloca, in Italia, la vicenda di un lavoratore di Taranto, che sulla propria bacheca facebook commentava una nota fiction sull’azienda con l’espressione “assassini”. Certo una frase shock, ma ancora troppo generica e poco attualizzata per giustificare il recesso datoriale.
Non si parla solo di facebook, twitter e simili, ma anche di recensioni su portali specialistici. E’ quanto capitato (Tribunale Lavoro di Ancona, sent. 175 del 5 luglio scorso) a un dipendente che ha inserito commenti e recensioni su Google My Business. Per il giudice marchigiano tale comportamento è idoneo a sottrarre potenziale clientela alla società datrice, ma non ancora a legittimare il recesso, che potrà essere sostituito da una sanzione conservativa. Forse bene ha giocato l’ironia di sapore dantesco messa in campo dal lavoratore che, attribuendo una stella su cinque, chiosava con un lapidario “Lasciate ogni speranza…”.
Sempre a proposito di ironia, fa un certo effetto che la sentenza n. 191/21 del Tribunale di Livorno, che giustifica la sospensione per un mese di un dipendente comunale colto a denigrare l’ente di appartenenza sul proprio profilo social, sia stata resa nota proprio il 1° maggio scorso, giorno della Festa dei lavoratori.
La questione cambia quando il commento dell’addetto, oltre ad avere toni accesi e insultanti, viene pubblicato e condiviso ad hoc: lo ha sancito a più riprese la Corte di Cassazione e di recente diversi tribunali. Tra i giudizi più severi va annoverato quello del Tribunale di Crotone, che con sentenza 298 del 1° aprile 2021 ha convalidato un licenziamento irrogato a seguito di commenti offensivi corredati di hashtag denigratori.
Si tratta in quest’ultimo caso di comportamenti che non possono trovare riparo nell’art. 21 della Carta Costituzionale, che tutela il diritto di critica (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione), in quanto trattasi di atti mirati che finiscono per ledere il rapporto fiduciario con il datore.
Link sentenza Tribunale Ancona 175/2021