La legge di Stabilità per l’anno in corso (190/2014), intervenendo sul DpR 917/86 (Testo unico delle imposte sui redditi, o Tuir) prevede ai commi 16 e 17 dell’articolo unico che i ticket per il pasto in formato elettronico, a partire dal prossimo luglio, non siano imponibili ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente fino a 7 euro (al momento la soglia è a 5,29 euro e resterà tale per i ticket cartacei).
Cambia quindi la normativa su quella che, diciamolo, per molte imprese resta una “forma di retribuzione” esentasse. A questo punto gli scenari per l’impresa sono tre: o il buono pasto cartaceo, con un’esenzione fino a 5,29 euro; o quello elettronico, con la soglia che da luglio passerà a 7 euro; o il badge personalizzato, completamente esentasse ma con i limiti che vedremo dopo.
Va detto che, anche nel caso del ticket elettronico esente fino a 7 euro, l’utilizzo e la spendibilità restano identici a quello cartaceo, con la facoltà di spenderlo in bar, esercizi o supermercati per l’acquisto di generi alimentari. E la possibilità dunque, per le imprese, di utilizzarlo come “integrazione retributiva” legalmente esente da tassazione. L’unico problema, comunque in via di risoluzione grazie ad un recente accordo tra i principali operatori del settore, è quello relativo all’accettazione, che deve avvenire mediante pos abilitato (diverso da quello per le normali operazioni con bancomat o carte di credito). Quindi se fino ad oggi erano necessari all’esercente tanti pos quanti sono i principali soggetti emettitori (una confusione non da poco), a breve i ticket elettronici dei principali emettitori potranno essere letti da un unico dispositivo.
Vediamo ora, nel dettaglio, come cambia la legge:
16. Alla lettera c) del comma 2 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le parole: «di lire 10.240,» sono sostituite dalle seguenti: «di euro 5,29, aumentato a euro 7 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica,».
17. La disposizione di cui al comma 16 entra in vigore il 1º luglio 2015.
Come si legge, l’agevolazione è valida solo qualora il buono pasto sia reso in forma elettronica. Per il resto, il riferimento resta il noto Dpcm “Buoni pasto” del 18 novembre 2005, che prevede che i buoni pasto:
c) sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno e parziale, anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonche’ dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato;
d) non sono cedibili, commercializzabili, cumulabili o convertibili in denaro;
e) sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.
2. I buoni pasto devono riportare:
a) il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro;
b) la ragione sociale e il codice fiscale della societa’ di emissione;
c) il valore facciale espresso in valuta corrente;
d) il termine temporale di utilizzo;
e) uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma dell’utilizzatore e del timbro dell’esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato;
f) la dicitura «Il buono pasto non e’ cumulabile, ne’ cedibile ne’ commerciabile, ne’ convertibile in denaro; puo’ essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dall’utilizzatore».
Senza tuttavia prevedere sanzioni in caso di uso improprio, se non l’intera tassabilità dei buoni pasto concessi dal datore in giorni non lavorativi (es. ferie o malattie).
Completamente esclusi da tassazione, senza un tetto di spesa, sono invece i badge elettronici personalizzati impiegabili presso esercizi convenzionati per una sola prestazione giornaliera (senza possibilità di utilizzo improprio o fraudolento) un po’ come avviene in mense scolastiche o aziendali. Ed è proprio questa la ragione che li rende completamente esentasse: già nel 2005, con la risoluzione 63/E del 17 maggio, l’Agenzia delle Entrate li equiparava a un “sistema di mensa aziendale diffusa”. Questi ultimi, dunque, proprio per la loro natura personalizzata e per le loro limitazioni nell’impiego, non possono prestarsi a diventare una “forma di pagamento” dell’impresa ai propri dipendenti.