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La qualità dell’aria in ospedale

La qualità dell’aria in ospedale è stata al centro di un interessante approfondimento di Daniela D’Alessandro, docente alla Sapienza di Roma, in occasione del seminario di AIISA all’ultimo Congresso FARE. Il rischio è concreto e dimostrato: la correlazione fra impianti aeraulici non correttamente igienizzati e infezioni correlate all’assistenza (ICA) è più stretta di quanto si pensi…

Un respiro è all’inizio di tutto: è la prima cosa che facciamo appena usciti dal grembo materno. E’, per così dire, il nostro primo saluto al mondo e alla vita. Non stupisce, dunque, che l’esigenza di aria buona ci accompagni per tutta la nostra esistenza, soprattutto nei luoghi in cui la nostra salute dovrebbe essere maggiormente garantita.

Impianti aeraulici e ICA: una stretta correlazione Come l’ospedale, ad esempio. Daniela D’Alessandro, del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile Ambientale della Sapienza Università di Roma, in occasione del seminario di AIISA (Associazione Italiana Igienisti Sistemi Aeraulici) al Congresso Nazionale della FARE – Federazione delle associazioni nazionali degli economi e provveditori della sanità, svoltosi nella capitale lo scorso ottobre, è intervenuta proprio sugli impianti aeraulici e infezioni correlate per fare il punto sulla centralità della qualità dell’aria nei contesti ospedalieri.

Le esigenze di pazienti e operatori Prendiamo le mosse dalle esigenze dei pazienti, che sono -o perlomeno dovrebbero essere- al centro di ogni riflessione relativa al servizio ospedaliero. Tra queste: purezza assoluta dell’aria negli ambienti protetti (sale operatorie, terapie intensive, pediatria, cardiochirurgia, centro ustioni, etc.), e comfort microclimatico diversificato in base alle caratteristiche dei pazienti stessi ed alle prestazioni sanitarie. D’altra parte, anche gli operatori hanno le loro necessità, come purezza dell’aria in caso di attività che espongono ad agenti chimici e biologici (anestetici, antiblastici, microrganismi quali tbc e così via). “Le esigenze microclimatiche -ha detto D’Alessandro- sono diversificate tra pazienti ed operatori, ma il denominatore comune è la necessità di aria pura”.

L’aria è un mezzo Per fugare ogni dubbio, se mai ce ne fossero in questo senso, va detto che l’aria non costituisce un veicolo d’infezione di per sé, ma per effetto delle particelle (goccioline, polvere, squame cutanee, etc.) che trasporta. Insomma, è un veicolo, un mezzo.  “I microrganismi patogeni veicolati direttamente dall’aria sono micobatteri, virus quali morbillo, varicella, influenza, rosolia e così via. Non moltissimi, a dire il vero. Gli altri sono patogeni opportunisti (ad esempio aspergilli, legionella, staphilococcus aureus) e determinano l’infezione per cause  predisponenti legate al soggetto. Fra le principali, ferite chirurgiche e immunodepressione”.

Gli impianti aeraulici Proprio qui entra in gioco lo stato di igiene degli impianti aeraulici, parola che proviene da una fusione dei due termini greci per “aria” e “flauto”. L’impianto, infatti, ha letteralmente la funzione di “soffiare l’aria” nell’edificio (e, come tutte le cose che “soffiano”, può diventare fonte di rischio batteriologico e non solo). Più tecnicamente si tratta di un “sistema di apparecchiature, dispositivi, accessori e controlli necessari per realizzare la qualità dell’aria desiderata nelle condizioni prefissate”. Le funzioni principali sono: controllo della temperatura ambientale, controllo dell’umidità relativa, apporto di sufficiente quantità di aria rinnovata, diluizione inquinanti interni, filtrazione dell’aria. 

Le principali criticità sanitarie Si tratta di sistemi che, per la salute e la sicurezza di degenti, operatori e visitatori, in ospedale (e naturalmente non solo) vanno mantenuti in perfette condizioni igieniche. Sono diversi a tale proposito i punti critici per lo sviluppo di microrganismi. Ce ne sono interni all’impianto, come umidificatori, filtri, condotte, griglie di espulsione dell’aria, batterie di scambio termico (per possibili ristagni delle condense sulle batterie fredde), silenziatori e materiali fonoassorbenti impiegati (se di tipo poroso e fibroso, sono particolarmente a rischio di trattenere lo sporco e di difficile pulizia), ed esterni all’impianto stesso, come le torri evaporative, quando presenti.

Qualche dato che fa riflettere Stando alle rilevazioni pubblicate su Outbreak database –  Worldwide Database for Nosocomial Outbreaks (www.outbreak-database.com) e National Library of Medicine (www.ncbi.nlm.nih.gov), che hanno curato la revisione di tutte le 53 epidemie da Aspergillus verificatesi dal 1970 al 2005, il sistema di ventilazione sarebbe responsabile del 17% delle epidemie fungine. Insieme alle costruzioni (49%), rappresenta la causa della grande maggioranza degli episodi.  

Esiti anche disastrosi Si tratta di eventi che hanno avuto esiti anche drammatici: come quello, pubblicato nel 2004 in “Acta ophtalmologica scandinavica”, di una donna di 83 anni che dopo 4 mesi dall’intervento ha sviluppato un’irite acuta. Il responsabile era P. variotii, un saprofita ambientale di per sé non patogeno, che però può essere disastroso se introdotto nell’occhio. Ebbene, al momento dell’intervento era in corso un ripristino dell’impianto aeraulico della sala operatoria. Ben peggio è andata ai 36 neonati (Journal of hospital infection, 2002) colpiti da un’infezione da S. marcescens, isolata dai campioni prelevati nelle condotte dell’impianto aeraulico, con il tragico bilancio di 5 decessi (letalità 14%).

Lo stafilococco “killer” In un altro ospedale (qui siamo negli anni ‘90 dello scorso secolo) 6 pazienti ed un infermiere sono risultati infetti da MRSA, staphylococcus aureus, uno dei patogeni dell’uomo più importanti e diffusi a livello globale, responsabile di infezioni lievi della cute ma anche gravi quali batteriemie, polmoniti, meningiti, endocarditi e osteomieliti. S. aureus è diffuso sia a livello comunitario che ospedaliero, dove rappresenta una delle principali cause di batteriemia e, in generale, di infezioni correlate all’assistenza (Ica). E’ inoltre tra i principali patogeni responsabili di infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici nell’Unione Europea e nello Spazio economico europeo. Per la cronaca l’Italia, dai primi anni 2000, è uno dei Paesi europei con le più alte percentuali di resistenza alla meticillina nei ceppi di S. aureus.

Il riscontro nell’impianto aeraulico Nel caso considerato i pazienti erano alloggiati in stanze diverse, e il riscontro di MRSA è avvenuto nelle griglie dell’impianto aeraulico (conferma con PCR). L’impianto funzionava in modo intermittente e ciò poteva aver determinato un’aspirazione da parte dell’impianto di aria ambiente che, probabilmente, aveva contaminato le griglie. Tale aria era stata di nuovo espulsa nell’ambiente all’accensione dell’impianto.

Un caso di epidemia Altre ricerche, pubblicate nel 2003, hanno messo in evidenza ben 6 casi di aspergillosi in due anni di sorveglianza, tutti concentrati in sala operatoria durante un unico periodo di 12 giorni. In molte sale operatorie è stato osservato un aumento sostanziale della proporzione di particelle sospese nell’aria di dimensioni > o = 3 micron (intervallo da 3 a 1000 volte). Una videocamera per spazi confinati ha identificato umidità e contaminazione del materiale isolante nelle condutture e nelle unità a volume di flusso d’aria variabile a valle dei filtri finali. In quel caso l’epidemia si è interrotta dopo la bonifica dell’impianto.

 Ospedali Covid-19 Vale la pena, a questo punto, considerare un articolo apparso nel 2022 sul “Journal of Building engineering” che considera i requisiti aeraulici di un ospedale allestito per l’emergenza da Covid-19: l’impostazione del sistema di ventilazione e condizionamento dell’aria, la quantità di ventilazione dei reparti, le misure di controllo del gradiente di pressione tra le diverse aree, la distribuzione dell’aria superiore e inferiore, la modalità di impostazione del filtro e la distanza dell’ingresso e dell’uscita dell’aria. Tutti requisiti che seguono il “Protocollo per il contenimento dell’epidemia da Sars Cov-2 nelle operazioni di gestione e manutenzione degli impianti di climatizzazione e ventilazione esistenti”, sviluppato da Aicarr.

In Italia c’è ancora molto da fare La correlazione Ica-qualità dell’aria è dunque evidente, e solidamente dimostrata nel tempo. Ciò detto, in riferimento alla situazione degli ospedali italiani, molti sono i nodi ancora da sciogliere. Un aspetto molto importante riguarda il patrimonio edilizio e impiantistico: la maggior parte degli ospedali di casa nostra sono vecchi e anche gli impianti aeraulici soffrono dello stesso problema. Vi sono poi stretti vincoli economici (bilanciare la sostenibilità e l’efficacia).

Impianti accessibili, a partire dalla progettazione Quanto alla sanificabilità e alla possibilità di intervento, per i nuovi impianti e le ristrutturazioni è necessario prevedere l’accessibilità a tutte le componenti dell’impianto per una manutenzione davvero efficace. “Già in fase di progettazione, gli impianti devono essere pensati per assicurare performance differenziate al variare delle esigenze. I trattamenti aggiuntivi dell’aria (ad esempio radiazioni UV e agenti chimici) necessitano di ulteriori approfondimenti soprattutto sul rischio di formazione di sottoprodotti. Inoltre, la manutenzione periodica deve riguardare le diverse componenti dell’impianto, e non soltanto la sostituzione dei filtri”.

Qualità dell’aria, un requisito fondamentale“La qualità dell’aria in ospedale -ha concluso D’Alessandro- è un requisito sanitario fondamentale: gli impianti di climatizzazione consentono di ottenere condizioni ambientali ottimali. D’altro canto, senza dubbio esiste un rischio legato agli impianti aeraulici ed è un fenomeno in crescita a causa dell’aumento dei soggetti vulnerabili. E’ dimostrato che misure di bonifica degli impianti si associano ad una diminuzione del rischio di infezione. Quello che manca è un documento organico su prestazioni, manutenzione e controlli degli impianti aeraulici ospedalieri aggiornato”. Un importante aspetto su cui lavorare nel breve periodo, anche perché, come ben sottolineato, il rischio pandemico, le dinamiche di invecchiamento demografico e lo sviluppo di patologie ad esso correlate non permettono più superficialità e ritardi.

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