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Il cleaning nell’era dell’“onda verde”

Per il cleaning la sostenibilità non è più solo un impegno etico e sociale ma ormai è anche un importante driver di scelta. Le certificazioni -obbligatorie e volontarie- estese a tutti gli anelli della filiera, stanno delineando un mercato sempre più attento ai temi ambientali, e sempre più disposto ad investirvi.

Non bisogna certo essere “guru” del mercato per rendersi conto di un dato di fatto che, giorno dopo giorno, acquista sempre maggiore evidenza: la sostenibilità ambientale non è più solo un impegno etico e sociale, un patto che -come già faceva notare il famoso Rapporto Brundtland nel lontano 1987- stringiamo con le future generazioni.

L’attenzione dell’opinione pubblica Ormai si tratta anche, e non da ieri, di un’irrinunciabile leva strategica. Basta entrare in un qualsiasi negozio o centro commerciale per notare sempre più clienti attenti alle etichette verdi, al packaging ridotto o riciclabile, all’utilizzo di ingredienti o sostanze amiche dell’ambiente, alle soluzioni concentrate per lavaggio e detergenza e così via. Il settore delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati è pienamente coinvolto da quest’ “onda verde”. A torto o a ragione -e noi crediamo a ragione- stiamo entrando in una fase nella quale la sostenibilità ambientale diventa sempre più un fondamentale driver di scelta degli attori del cleaning, a tutti i livelli della filiera del mercato: produttori, aziende di distribuzione e imprese di pulizia.

L’Ecolabel, dal prodotto al servizio D’altra parte le certificazioni ormai coprono tutti gli anelli del mercato del comparto: dalle materie prime ai prodotti finiti (siano essi detergenti, macchine, sistemi o attrezzature), fino ad arrivare all’impatto complessivo del servizio stesso di pulizia, con l’importante conquista della Decisione Ue 2018/680 che per la prima volta ha stabilito i criteri Ecolabel UE per i “Servizi di pulizia di ambienti interni” adottati dalla Commissione europea, che affrontano i principali impatti ambientali associati ai servizi di pulizia con un approccio “long life”, ossia lungo l’intero ciclo di vita (dei prodotti o del servizio).

Ma non è il solo…Ma l’Ecolabel, ormai requisito preferenziale -ove non obbligatorio- nel settore privato e soprattutto nel pubblico nell’ottica del “green public procurement”, è soltanto una delle numerosissime certificazioni ambientali che rappresentano requisiti indispensabili per restare nel mercato. Pioniera fu la Iso 14001, quando ancora, nel nostro settore, si contavano sulle dita le aziende che potevano vantare la propria aderenza agli standard, e rappresenta ancora il punto di riferimento normativo per le aziende e organizzazioni dotate, o che intendano dotarsi, di un Sistema di Gestione Ambientale.

Il “Reach” per i chimici Sempre alla fase “pionieristica” appartiene il Regolamento (CE) n.1907/2006, cosiddetto Reach, una normativa integrata per la registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche, che mira ad assicurare un maggiore livello di protezione della salute umana e dell’ambiente, aspirando al contempo a mantenere e rafforzare la competitività e le capacità innovative dell’industria chimica europea.

Il “bilancio di sostenibilità” Vennero poi il Bilancio di sostenibilità, per le aziende oltre una certa soglia, così definito dal Libro verde della Commissione del 2001: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Di qui all’idea che per sostenibilità non si intendessero solo e semplicemente gli aspetti ambientali, ma anche quelli sociali “tout court” il passo è stato breve.

La sostenibilità in chiave sociale Questo il senso di certificazioni come quelle della famiglia “SA 8000”, uno standard internazionale di sostenibilità pubblicato per la prima volta nel 1997 con revisioni negli anni successivi: un modello gestionale che si propone di valorizzare e tutelare tutto il personale ricadente nella sfera di controllo e di influenza delle organizzazioni che lo adottano. Lo standard permette di migliorare le condizioni del personale, promuovere trattamenti etici ed equi del personale, includere le convenzioni internazionali dei diritti umani.

La Carbon footprint…Tornando all’ambiente, molto importante è la Carbon Footprint, letteralmente “impronta di carbonio”, diventato un concetto di rilievo nel contesto della sostenibilità ambientale e delle aziende responsabili. Si tratta di un indicatore ambientale che quantifica l’impatto di un’azienda in termini di gas-effetto serra misurando le emissioni di anidride carbonica, ma anche metano, monossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi e esafloruro di zolfo, associate a un’attività, un prodotto, un servizio o un’intera organizzazione.

… e le sue evoluzioni Questa misurazione quantifica l’impatto ambientale di un’entità specifica e contribuisce alla comprensione delle responsabilità e all’identificazione delle aree in cui è possibile apportare miglioramenti. Il monitoraggio e la gestione del carbon footprint sono diventati elementi chiave nella strategia aziendale orientata alla sostenibilità, contribuendo a preservare l’ambiente. Si tratta di un indicatore prezioso, poi evoluto in “global” e “ecological” footprint.

Una “seconda vita” per la plastica? E che dire delle certificazioni “Plastica seconda vita” dell’ Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo? Anche per i produttori del settore del cleaning, in particolare macchine e attrezzature (ma anche contenitori per formulati), l’etichetta ecologica per materiali e prodotti in plastica riciclata può rivelarsi una scelta strategica. Il suo scopo è quello di certificare i materiali e i manufatti ottenuti dalla valorizzazione dei rifiuti plastici e al contempo introdurre due concetti molto importanti: la qualità e la tracciabilità dei materiali riciclati. Il “PSV” ha l’importante missione di promuovere e comunicare il contenuto di riciclato per mettere in risalto il grande potenziale delle materie plastiche nella circular economy.

Il “Reporting di sostenibilità” Va ricordato, in questa carrellata che non ha la pretesa di essere esaustiva, il recentissimo recepimento da parte del Governo della direttiva europea CSRD – “Reporting di sostenibilità”. Sempre a proposito di Esecutivo e dintorni, emblematici del “green new deal”, e del valore strategico (anche in termini economici) dell’attenzione alla sostenibilità sono Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

Il Piano per la sostenibilità ambientale I CAM sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e sono adottati con Decreto del Ministro. La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, inducendo gli operatori economici meno virtuosi a investire in innovazione e buone pratiche per rispondere alle richieste della pubblica amministrazione in tema di acquisti sostenibili.

CAM e nuovo Codice 36/23, per appalti più sostenibili In Italia, l’efficacia dei CAM è assicurata grazie alle previsioni contenute nel Codice dei contratti, già a partire dal “Codice 50”, per arrivare all’ultimo testo dello scorso anno. Infatti, l’articolo 57 comma 2 del dlgs 36/23, prevede l’obbligo di applicazione, per l’intero valore dell’importo della gara, delle “specifiche tecniche” e delle “clausole contrattuali”, contenute nei criteri ambientali minimi. Lo stesso comma prevede che si debba tenerne conto anche per la definizione dei “criteri di aggiudicazione dell’appalto”.

Obiettivo: ridurre gli impatti Questo obbligo garantisce che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nel promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili. E tra le frontiere più recenti si sta aprendo quella delle certificazioni “energia green” che, per ora rivolti soprattutto ai produttori di energia, non tarderanno a riverberare i loro effetti su tutti i “gradini” della filiera. Tutti standard, modelli e certificazioni che configurano un mercato pubblico e privato sempre più attento a selezionare fornitori “virtuosi”.

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