HomesanitàL'insicurezza in Sanità. Chi è sicuro in ospedale?

L’insicurezza in Sanità. Chi è sicuro in ospedale?

(tratto da: “Hospital & Public Health n.4, Ottobre-Dicembre 2008)


LA SICUREZZA IMPIANTISTICA TRA MEDICINA E INGEGNERIA

Riassunto: Il concetto di rischio è influenzato da dinamiche culturali e sociali, di cui bisogna tener conto anche rispetto alla gestione di organizzazioni complesse come le aziende sanitarie. Anche l’ospedale è espressione di  una “cultura” e la sua stessa concezione ha subito nel tempo numerose e profonde mutazioni. In questo contesto e in uno scenario tecnologico e gestionale in continua evoluzione, si colloca, proprio tra  “tra medicina e ingegneria”, il tema della sicurezza impiantistica. L’articolo esamina vari aspetti della tematica e propone una prospettiva del “governo dell’impiantistica” da perseguire nell’ambito di una visione di “sistema integrato” che riguardi sia i soggetti interessati, sia le varie fasi del processo (progettazione, installazione, certificazione e verifica delle conformità, utilizzo degli impianti e delle apparecchiature, gestione e manutenzione), nella prospettiva finale della realizzazione di un “ospedale orientato alla sicurezza”.

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L’insicurezza sembra essere sempre più una costante della società moderna. Come affermano alcuni studiosi quella attuale può essere definita “la società del rischio” (U. Beck). I rischi che vengono presentati all’opinione pubblica sono affrontati costantemente cercando di prevenirli o di ridurre al minimo le loro conseguenze. Tuttavia le promesse di controllo vengono spesso contraddette da scelte istintuali e semplicistiche e da interventi palliativi, non strutturali e duraturi. Si genera nuova “inquietudine” a cui si risponde individuando nuovi “pericoli”.

Il concetto di rischio in effetti è assolutamente moderno, è influenzato dal contesto socio-culturale e si applica in modo più pregnante nel contesto di organizzazioni complesse.

In effetti l’ospedale stesso è espressione di una “cultura”, di mutazioni etiche, economiche e sociali. Le trasformazioni architettonico/progettuali e tecnologiche che hanno interessato il Luogo Ospedale, sono infatti legate a profonde mutazioni della  sua concezione, dell’idea stessa di ospedale.

La rappresentazione di ospedale come “luogo di cura” è, come noto, relativamente “recente”. L’ospedale nasce infatti nel medio evo innanzitutto come luogo di “ospitalità”  che offre conforto e aiuto a un’umanità in genere sofferente e derelitta (viandanti, pellegrini, emarginati, e naturalmente anche malati).

E’ solo con la fine del Settecento, con i progressi del sapere medico e con il modificarsi del contesto economico e sociale che và definendosi la concezione dell’ospedale “moderno”: un luogo dedicato esclusivamente alla cura dei malati e a malati affetti da patologia acuta. E poi è nei decenni successivi, nel corso dell’Ottocento, che si sviluppano le riflessioni sul ruolo dell’ospedale in rapporto alla salute del collettività e gli uomini di scienza si cimentano nel definire la migliore collocazione nel tessuto urbano, le funzioni che l’ospedale deve svolgere e l’architettura più idonea allo svolgimento di quelle funzioni.

In rapporto alle scoperte, agli sviluppi e alle innovazioni cliniche e strumentali della medicina, si sviluppano i diversi modelli strutturali e architettonici dell’ospedale. Dal classico ospedale a padiglioni indipendenti della seconda metà dell’Ottocento, si passa nel XX secolo alle strutture a padiglioni collegati, al fine di coordinare il momento diagnostico con quello terapeutico. Poi l’evoluzione si fa veramente tumultuosa, con lo sviluppo verticale degli anni 60, con i monoblocchi polifunzionali e le successive strutture a poliblocco che tengono conto di profonde e diffuse esigenze di integrazione dei momenti assistenziale, di ricerca e formazione. L’architettura ospedaliera diventa sempre più funzionale alle esigenze di flessibilità legate alle diverse attività integrate che si svolgono nel contesto dinamico dell’ospedale moderno, e che si esprime anche nello sviluppo orizzontale di strutture avveniristiche che concentrano in sé più funzioni e servizi. Per giungere infine ai modelli ospedalieri attuali che mirano a rispondere a nuovi bisogni e a nuove istanze epidemiologiche, cliniche ed organizzative e che vedono l’ospedale farsi carico, integrato con il territorio, di tutti i momenti assistenziali (compreso quello preventivo e riabilitativo); un ospedale, nodo strategico di una rete sempre più ampia ed integrata.

Come si intuisce ci sono profondi mutamenti di una cultura dietro questa evoluzione, che riguarda certo il sapere medico-scientifico/tecnico e tecnologico, ma anche e soprattutto il terreno “sociale” che riguarda il rapporto del “uomo” (sia esso il malato, come anche l’operatore sanitario) con l’ospedale.

Un ospedale oggi è anche luogo (comunque “aperto e  correlato” con l’esterno) dove vive e interagisce una “comunità” di medici, operatori sanitari e amministrativi, cittadini/pazienti/utenti, dirigenti che non agiscono solo sulla base di una “legalità formale” e dell’adesione a normative o solo a procedure codificate, ma una comunità in cui tutti i soggetti dovrebbero operare sulla base di valori eticamente condivisi (di cui la sicurezza è uno dei principali) e di una cultura che stimola ad agire, ognuno per la sua parte, per la tutela e la protezione della salute del singolo e collettiva. Si pone dunque la domanda se sia possibile realizzare un ospedale “sicuro”.

In considerazione del fatto che i rischi non sono mai del tutto eliminabili e che non può esistere una struttura assistenziale libera da rischi (non si potrà mai parlare di un ospedale “rischio free”), non si ritiene opportuno parlare di “ospedale sicuro”. Lo sforzo deve essere invece finalizzato a costruire,  a partire dagli aspetti strutturali, un ospedale  “orientato alla sicurezza” e che tende al raggiungimento di un livello di questa sempre più alto; che lo fa costantemente e sistematicamente in tutte le sue attività, in una visione globale.

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