Risultati
Le circolari del Ministero della Sanità hanno sostanzialmente recepito il contenuto della Raccomandazione n. 20 del 1984 del Consiglio Nazionale d’Europa, emanata a seguito di uno studio realizzato da un comitato di esperti delle varie nazioni europee.
Lo studio, attraverso la rilevazione e l’elaborazione di dati statistici, aveva messo in risalto come la soluzione o quantomeno l’attenuazione del fenomeno “infezioni ospedaliere” dipendesse dalla messa in opera di una strategia globale che concerne tutti i settori dell’ ospedale e necessita della collaborazione di tutti coloro che vivono (degenti), frequentano (pazienti che consultano servizi ambulatoriali, visitatori) od intervengono nell’ ospedale (personale sanitario e non, altri soggetti che pur non facendo parte della istituzione vi operano).Le due circolari inoltre, prevedono l’attuazione di un sistema di sorveglianza coordinata e continua in ospedale inteso come raccolta di informazioni, analisi dei dati, applicazioni di misure di controllo e valutazione di efficacia delle stesse.
Tale concetto si è ulteriormente evoluto negli ultimi anni, poichè si è andata diffondendo la convinzione che i fenomeni complessi vanno studiati secondo una logica sistemica, l’unica logica che sia in grado di spiegare il concatenarsi di eventi, tra loro apparentemente distanti. (8)
La concatenazione dei fattori e degli eventi è in gran parte nota e viene riassunta nella figura che segue.
Figura 1
La logica sopra esposta ci obbliga a riflettere sulla necessità di tener sotto controllo tutti quei fattori, che sebbene non direttamente, possono agire creando il terreno favorevole allo sviluppo delle IO.
Le seguenti riflessioni in parte spiegano il perché della grande difficoltà di correlare gli elementi tra loro, vista la grande varietà di essi, e in parte forniscono spunti più ampi per la valutazione delle correlazioni medico legali delle infezioni ospedaliere.
Ed è appunto sulla base di quanto esposto che si tiene oggi in maggior considerazione tutta la normativa afferente, che abbiamo sopra citato. Ciò in considerazione del fatto che se il determinismo dei fenomeni infettivi è complesso anche la risposta, sia in termini tecnici che in termini giuridici, deve essere di pari complessità.
Anche l’individuazione delle cause e di precise responsabilità non può prescindere da una analisi sistemica in termini giuridici, ovvero di una corretta concatenazione di dei concetti di danno, di condotta degli operatori e di nesso causale tra condotta e danno.
Per evento di danno si intende, nello specifico, l’infezione che si è sviluppata in uno o più pazienti.
Si parla di danno in quanto non vi è dubbio che si tratti di un evento che modifica in senso peggiorativo le condizioni della persona: le fisiche per l’azione diretta del processo infettivo, le psichiche per il turbamento che arreca alla persona, ed eventualmente anche quelle economico-patrimoniali, nonché le relazioni sociali, intese nell’ accezione più lata del termine. Accertare che è insorta infezione ospedaliera comporta il precisare:
– quale ne è l’agente eziologico;
– quando e dove presumibilmente si è avuta la contaminazione che ha preceduto lo sviluppo dell’ infezione;
– quali circostanze possono aver facilitato lo sviluppo dell’ infezione.
L’inchiesta che per ogni caso dovrebbe essere condotta è finalizzata a fornire adeguate risposte alle quali è strettamente da correlarsi l’analisi sulla condotta degli operatori sanitari coinvolti. Posto che l’infezione non sia da attribuire esclusivamente alle peculiari condizioni del paziente – situazione peraltro non infrequente, ma che esula dal nostro interesse in questa sede – si pone il problema di verificare se la condotta degli operatori sanitari che hanno prestato assistenza diretta od indiretta a quel paziente, in un arco di tempo compatibile con l’ insorgenza del sopraggiunto evento patologico, sia stata corretta. La correttezza dell’ operato si riferisce al rispetto di quel complesso di norme comportamentali dettate da cognizioni scientifiche, linee guida, da esperienza universalmente consolidata, da regolamenti, da disposizioni interne.
Il passaggio successivo consiste nello stabilire se vi sia rapporto causale tra una condotta scorretta degli operatori e l’evento dannoso. Con riferimento al profilo soggettivo, la condotta non corretta può essere di tipo doloso, quando è coscientemente voluta, oppure colposa quando, senza intenzione, derivi da imperizia o negligenza o imprudenza oppure da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.( 9)
Dal momento che la responsabilità può derivare sia da condotta di tipo fattivo sia di tipo omissivo, il mancato intervento della Direzione Sanitaria nell’impartire direttive o nel disporre controlli o nell’ assicurare ai servizi personale adeguato, attrezzature o materiali d’uso può costituire elemento di addebito per chi ha la responsabilità di Direzione Sanitaria.
La norma giuridica non si occupa delle questioni eminentemente tecniche di igiene ospedaliera, la cui risoluzione è demandata al Direttore Sanitario; occorre tuttavia tenere presente che atti non aventi forza di legge ma esclusivamente di carattere amministrativo, quali le circolari ministeriali o regionali, non possono essere disattese.
A tal proposito è da ricordare la circolare ministeriale n. 52 del 20 dicembre 1985 che, al punto 2.1.1, prevede: “allo scopo di assicurare un’ operatività continua in materia di infezioni ospedaliere, è necessario che in ogni presidio, o in aggregati di ospedali di piccole dimensioni, sia istituita una Commissione tecnica responsabile della lotta contro le infezioni ospedaliere” .
Se, come sovente accade, nel determinismo di un’infezione ospedaliera è chiamato in causa l’operato di più persone, si dovrà stabilire il grado di responsabilità di ognuna, tenendo conto dell’organizzazione ospedaliera con le sue stratificazioni decisionali e le complesse interazioni ai diversi livelli. In tema di accertamento delle responsabilità pertanto potranno essere interessati non soltanto gli operatori che hanno prestato diretta assistenza, ma anche altri, ed in particolare, per quanto sopra citato, la Direzione Sanitaria che, per le leggi vigenti, ha la responsabilità igienica delle attività ospedaliere. (10)
I Direttori delle Strutture Complesse (ex Primari) hanno anch’ essi un ruolo di estrema importanza in tema di prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere, in quanto diretti responsabili dell’assistenza dei pazienti ricoverati e quindi delle scelte diagnostiche e terapeutiche oltre che delle direttive impartite ai capo-sala per il nursing dei degenti.
Incombono sul Direttore della Struttura il dovere di segnalazione di problemi e disservizi alla Direzione Sanitaria e l’onere delle decisioni conseguenti.
In particolare sul Direttore di Struttura incombe la responsabilità dirigenziale , che deriva dalla applicazione prima del DPR 748/1972 e soprattutto più recentemente del Decreto Legislativo 29/ 1993 e sue integrazioni e modifiche. Infatti l’art.20 stabilisce che “i dirigenti sono responsabili dell’attività degli uffici cui sono preposti , della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria tecnica ed amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del personale”.(11)
In misura proporzionale tale responsabilità è attribuita anche ai dirigenti di livello più basso in funzione dell’articolazione del Dipartimento e quindi delle specifiche attribuzioni.
Ultimamente tale responsabilità dirigenziale si sta ponendo anche per il personale del comparto sanitario, nella misura in cui entra in fase di attuazione la Legge n.251 del 10 Agosto 2000 “Disciplina delle professioni sanitarie, infermieristiche , tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”
L’art. 1 di detta legge recita “gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria … svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura alla salvaguardia della salute individuale e collettiva , espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali, nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza.”
Come si vede l’incremento della autonomia e della discrezionalità comporta inevitabilmente un incremento delle responsabilità correlate.
Nonostante il mutamento della normativa rimane però valida quella parte del DPR 821/84, che, nell’ultimo capoverso, reca la delimitazione delle responsabilità attribuite ad ogni classe di operatori sanitari:
“ha la responsabilità dei propri compiti limitatamente alle prestazioni e alle funzioni che per la normativa vigente è tenuto ad attuare nonché per le direttive e le istruzioni impartite e per i risultati conseguiti” .
Affinché comunque si configuri la responsabilità di un operatore sanitario occorre che l’evento di danno sia temporalmente correlabile con l’azione od omissione dell’ operatore e che siano escluse altre cause determinanti.
Più cause possono svolgere azione sinergica ed in tal caso si parla di evento concausato. La concausa è il fenomeno antecedente, necessario ma da solo non sufficiente a produrre l’effetto.
Una frequente concausa è rappresentata dalle precarie condizioni di molti pazienti che sviluppano un’infezione ospedaliera. Posto che il manifestarsi di un’infezione è la risultante dell’interazione tra carica aggressiva e difesa dell’ ospite, è evidente che uno stato di grave compromissione delle resistenze del paziente svolge un ruolo significativo dell’aggressione da parte di una carica microbica.
A titolo di completezza si ricorda che in una infezione ospedaliera, comunque, possono configurarsi diverse ed ulteriori specie di responsabilità: penale, civile, patrimoniale, disciplinare, deontologica, amministrativa, per l’approfondimento delle quali si rimanda a testi specializzati.
Discussione
Poiché non sempre esistono norme certe per la correlazione delle responsabilità, in particolare sul tema delle infezioni ospedaliere, si vuole qui corredare l’argomentazione con alcuni elementi tratti dalla giurisprudenza, che tendono a chiarire quali siano i rapporti tra i concetti di linee guida e dottrina e le conseguenze medico-legali che derivano da tali rapporti.(12)
In proposito si ricorda come le linee-guida siano, in sostanza, “raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche” (13); la necessità di stilare siffatti documenti nasce proprio dal bisogno di razionalizzare la quantità di nozioni esistenti in ogni ambito specialistico, avendosi come fine ultimo l’ottimizzazione applicativa delle molteplici conoscenze. Si tratta, peraltro, di strumenti meramente indicativi, dovendo tenere, comunque, sempre conto degli intrinseci caratteri del singolo caso clinico. Ciò riguarda, ovviamente, anche le I.O., le cui connesse ripercussioni medico-legali e giurisprudenziali non possono che muovere, anzitutto, dal richiamo a quel fondamentale approccio metodologico tipico della disciplina, che si incentra sul riconoscimento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento, e più specificatamente, trattandosi della prevenzione delle I.O., sulla valutazione di eventuali condotte di tipo omissivo in ambito preventivo, ovvero se il fatto dannoso si sarebbe ugualmente verificato, pur a fronte di un comportamento diverso, invece omesso per negligenza, imprudenza ed imperizia (art.40 c.p.).
Sarà quindi possibile un equo giudizio in merito al comportamento medico riguardante il conformarsi a quelle che sono le linee guida nella prevenzione delle I.O., ravvisando in esse quello strumento capace di assecondare l’esigenza di fornire, in ambito processuale, ma in specie in ambito medico e medico-legale, un oggettivo sapere scientifico su cui ancorare l’affermazione del nesso di causalità nella condotta colposamente omissiva, fermo restando che le linee-guida non hanno alcuna validità protocollare; tale chiave di lettura delle linee-guida è necessaria sia al fine di non incorrere nel rischio di ritenerle uno strumento deresponsabilizzante dell’operatore (14), sia nel rispetto dell’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche, come dichiarato anche dal Codice Deontologico (art.12). La Suprema Corte, in altro momento, ha comunque tenuto a precisare che la scelta “ non può essere avventata, né fondata su semplici esperienze personali, essendo doveroso, invece, attenersi al complesso di esperienze che va solitamente sotto il nome di dottrina, quale compendio della pratica della materia, sulla base della quale si formano le leges artis, cui il medico deve attenersi dopo attenta e completa disamina di tutte le circostanze del caso specifico, scegliendo, tra le varie condotte terapeutiche, quella che l’esperienza indica come la più appropriata” (Cass. Pen., Sez. IV, 25 gennaio 2001) (15).
Quindi, pur nel rispetto della libertà dell’operato medico, l’attuale giurisprudenza conferisce valore probatorio a quanto sostenuto in ambito scientifico e, nel caso in cui la scelta del sanitario si dovesse discostare da quanto considerato nella prevalente e più accreditata letteratura, egli dovrà, necessariamente, giustificare in modo del tutto esauriente tale incongruenza, anche perché, sul tema della prevenzione delle I.O., si fa spesso riferimento a presidi profilattici di semplice messa in atto da parte del personale sanitario (es. lavaggio delle mani) e comunque non dannosi per il paziente, (quale, per esempio, è la terapia antibiotica pre-operatoria, che solitamente prevede, oltre a tutto, l’utilizzo di farmaci chemioterapici comunemente disponibili in ogni nosocomio) onde il mancato rispetto di tali elementari principi ben difficilmente può trovare idoneo sostegno e convincente motivazione in una personale rivisitazione delle leges artis. La dimostrata cogenza scientifico-pratica di una corretta profilassi nell’impedire l’insorgenza delle I.O. ha riflessi anche in ambito civile, ove si concretizzano gli estremi della responsabilità professionale di tipo omissivo se e in quanto “…il medico che abbia a disposizione metodi idonei ad evitare che la situazione pericolosa si determini, non può non impiegarli, essendo suo dovere professionale applicare metodi che salvaguardino la salute del paziente anziché metodi che possano anche esporla a rischio. Da ciò consegue che, ove egli opti per un trattamento terapeutico o per un metodo d’intervento rischioso e la situazione pericolosa si determina ed egli non riesce a superarla senza danno, la colpa si radica già nella scelta iniziale” (Cass. Civ., Sez. III, 8 settembre 1998.)(16).
L’omissione delle misure precauzionali costituisce violazione delle norme di prudenza e diligenza, ed anche inosservanza, rappresentando le linee-guida, quantomeno, un “ordine” scientifico cui è ragionevole ottemperare.
Nell’ambito delle figure su cui grava il comportamento omissivo nel caso delle I.O. non si può fare riferimento solo al singolo operatore e/o al primario, responsabile della U.O., in quanto può essere chiamata in causa anche la Pubblica Amministrazione, posto che , è prevista e statuita la fattiva opera di controllo, sorveglianza e prevenzione dell’amministrazione tramite l’istituzione del Comitato di Controllo delle IO, che deve esistere in ogni Azienda Ospedaliera. In proposito si ricorda che, secondo orientamento giurisprudenziale, è ormai da imputare immediatamente alla struttura ospedaliera ogni manchevolezza strutturale che abbia causato un danno, prescindendo dalla condotta del singolo sanitario, che comunque sarà sottoposto a verifica causale; in tal senso tramite il D.L. 502 del 30 dicembre 1992 e successive modificazioni la ASL è stata dotata di personalità giuridica pubblica, oltre che di autonomia, ed ha individuato nel Direttore Generale il responsabile dell’Azienda, coadiuvato dal Direttore Sanitario ed Amministrativo, permettendo, così, in caso di danni a pazienti dovuti a carenze strutturali od organizzative ad essi imputabili (a prescindere quindi dalla correttezza comportamentale di medici ed infermieri), di attribuire loro responsabilità quantomeno sul piano civilistico e questo, nello scenario delle I.O. da comportamenti omissivi, è realtà da tenere presente e non mera ipotesi (17). Trattasi d’interpretazione che trova suffragio in una recente pronuncia della giurisprudenza di merito secondo cui “Nell’esercizio dei poteri istituzionali di vigilanza e controllo su attività oggettivamente pericolose, atte a recare grave danno a diritti soggettivi dei privati insuscettibili di affievolimento quali il diritto alla vita, alla salute ed alla integrità fisica, i doveri di prudenza, diligenza, imparzialità e legalità costituiscono un limite esterno alla discrezionalità propria della P.A.; di conseguenza, ove il privato lamenti che dalla violazione di tali doveri sia derivato un danno ingiusto, il giudice onorario può verificare se la P.A. sia incorsa in gravi omissioni nell’esercizio dei suoi poteri istituzionali di vigilanza e controllo e condannare la medesima al risarcimento del danno ove accerti che tali omissioni siano state concause efficienti del danno sofferto dal privato” (Trib. Di Roma, 27 novembre 1998, Pres. De Fiore, Rel. Orecchio, per Ministero della Sanità.) (18).