(Tratto da “GSA regionale PMI 6/2011)
Dal contratto alla situazione del mercato, Aldo Avosani di CNA illustra il suo pensiero, senza risparmiare critiche al sistema-Italia.
Gli studi di settore più recenti parlano di una ventina di migliaia di imprese artigiane attive nel settore delle pulizie e servizi integrati, molte delle quali suddivise tra le principali associazioni di rappresentanza. Tra queste, Cna – Confederazione Nazionale dell’Artigianato, con le sue circa 8.000 realtà, è senza dubbio uno dei raggruppamenti principali, capace di giocare un ruolo decisivo nello sviluppo dell’intero settore. D’altra parte non è certo una novità il fatto che le imprese medio-piccole, o PMI che dir si voglia, costituiscano il nerbo del tessuto imprenditoriale italiano, e ciò vale anche nel nostro settore. Tutto chiaro, ma a questo punto la domanda è: il sistema-Italia, e in particolare le dinamiche del comparto, riescono a dare risposte concrete alle imprese artigiane? E’ qui che iniziano i problemi, perché se è vero che negli ultimi anni molto è stato fatto, è altrettanto innegabile che le criticità non manchino, a partire, per fare giusto un esempio, dalla piattaforma contrattuale. A proposito, ma quale contratto? Questione non da poco, soprattutto alla luce del fatto che -come ormai è noto a tutti- negli ultimi rinnovi contrattuali si sono sempre più distinti, da parte datoriale, i due poli facenti capo da un lato a Confindustria, con Fise, e dall’altro a Confcommercio, con Fnip: una divisione che aveva già portato nel 2007 alla firma di due contratti distinti (ancorché praticamente identici nei contenuti), ma che ora è sfociata nella costituzione di due tavoli di trattativa separati. Non stupisce dunque che Aldo Avosani, componente della Presidenza dell’Unione Servizi alla Comunità di CNA con delega alla contrattualistica, parta proprio da questa non facile tematica.
All’indomani della firma dell’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL di categoria, avvenuto a giugno, da parte di Anip-Fise, Lega Coop Servizi, Confcooperative, Psl-Agci, Unionservizi-Confapi e le sigle sindacali Fisascat Cisl, Filcams Cgil e Uiltrasporti Uil, e mentre è ancora aperto il tavolo di Fnip-Confcommercio, lei a chi si sente più vicino?
“Parto da una verità che, se a parole appare scontata, nei fatti lo è meno: fare le pulizie non è cosa uguale per tutti. Lo dico senza nessuna presa di posizione preconcetta, né tantomeno -figuriamoci!- sentimento di ostilità. Le nostre imprese, a carattere artigiano, hanno mediamente esigenze diverse rispetto alle grandi realtà che si riconoscono, ad esempio, in Fise o Lega Coop Servizi. Ecco, io auspico un contratto che sia prima di tutto un riconoscimento delle nostre peculiarità, e su tanti temi mi sento vicino a ciò che ha affermato, proprio sulla vostra rivista, il neopresidente Fnip Eduardo Recupito (cfr. GSA maggio 2011, ndr): mi piacerebbe un contratto diverso, che affrontasse i veri problemi e riconoscesse le differenze fra imprese che il tempo ha creato e, diciamolo pure, la crisi di questi anni ha contribuito ad accentuare”.
La crisi, appunto. Quanto si sente fra gli artigiani?
“Non poco, sia in termini di volumi che di valore. Ora siamo in una fase di isterismo in cui a volte ci si muove scompostamente e si rischia di affondare. Ma ritengo che ci sia spazio per lavorare e voglio essere ottimista sul come uscirne. Credo molto, ad esempio, in strumenti concreti come l’associazione R.Ete Imprese Italia, costituita nel 2010 fra Casartigiani, CNA, Confartigianato e, guarda caso, Confcommercio e Confesercenti. Scopo primario è favorire la promozione e il consolidamento delle imprese come componenti fondamentali del sistema economico e della società civile, nonché il riconoscimento del loro ruolo a tutti i livelli di interlocuzione istituzionale e privata. Cosa che stiamo cominciando a fare anche noi nel nostro settore”.
Molti lamentano la difficoltà, per le piccole e medie imprese, di accedere alle gare d’appalto. Come la vede?
“Credo che ci sia spazio per tutti, a patto però che si ripensi al sistema delle forniture di servizi nel suo complesso. Occorrerebbe una ristrutturazione complessiva del sistema. Vede, come ho detto all’inizio è infruttuoso pensare che la grande impresa o la grandissima cooperativa con flessibilità scarsa o nulla possano prendere il piccolo appalto nel comune di montagna, esattamente come è impensabile che l’impresa artigiana sia strutturata al punto da gareggiare su appalti a scala nazionale. Quando auspico una presa di coscienza delle differenze mi riferisco anche a questo. Del resto, il fatto che noi la nostra la possiamo dire è evidente anche alla luce delle resistenze che stiamo incontrando per il rinnovo del contratto”.
A proposito, si possono ipotizzare dei tempi?
“Proprio non saprei. A giugno abbiamo rimesso la questione al Ministero, ma credo che con la situazione attuale se ne riparlerà da settembre. Francamente vedo improbabile che, con problemi urgenti come la manovra finanziaria, si trovino e modalità per un dialogo proficuo”.
Come vede le possibili ricadute della manovra sulle imprese artigiane?
“Ancora molto è da definire, e in questi giorni lo stiamo vedendo. L’unica cosa che mi auguro è che non si pensi di aumentare il carico fiscale sulle imprese perché sarebbe davvero insostenibile. Io ricordo che già nel 2006 fui tra i 1500 del patto del Capranica per protestare contro le misure sulla tassazione”.
Se avesse la bacchetta magica, cosa vorrebbe per le piccole imprese italiane?
“Che si internazionalizzassero. Adesso molti mi prenderanno per visionario, ma sottolineo il “se avessi la bacchetta magica”! Mi piacerebbe che potessero giocarsela su mercati più trasparenti, con regole più definite e precise, e aprire cantieri fuori del territorio nazionale”.
E non avendo nessuna bacchetta, quali sono le criticità che vorrebbe si risolvessero in tempi rapidi?
“Riprendo la provocazione dell’estero: se guardo là è perché vorrei che quell’humus economico che trovo in altri paesi ci fosse anche da noi. Non vorrei irregolarità, non vorrei gente che si appella a principi integralisti, vorrei più equilibrio e una situazione in cui si possa davvero fare mercato con serietà. Se devo lamentare un difetto italiano, direi che il mercato stesso è strutturato qui in modo da fare emergere, e tenere in vita, realtà poco trasparenti. Insomma, siamo strutturati in modo che, quando uno vuole seguire le regole, trova mille e mille difficoltà, soprattutto di natura burocratica”.
Come vede l’attività dell’Organismo di vigilanza?
“Premesso che credo nell’utilità di questo tipo di organismi, vedo una certa difficoltà, soprattutto da parte delle imprese piccole, a trovare una vera interlocuzione, un dialogo efficace. Il primo problema, quindi, è comunicare. Un secondo aspetto che sottolineerei è che sarebbe meglio che l’autorità di questi organismi venisse dal basso, dalla base degli operatori del settore, senza essere calata dall’alto come purtroppo oggi avviene. Allora, credo, non si arriverebbe nemmeno a problemi come quello della 286, che adesso si sta lavorando per risolvere.”