(tratto da “GSA” n.11, novembre 2009)
La passione è importante, ma non è tutto. Perchè se l’offerta alberghiera è un fenomeno anzitutto economico, la dedizione al servizio è premessa imprescindibile ma non esaustiva di un’efficace politica manageriale. Riportiamo integralmente l’intervento del dottor Franco Arabia, presidente ADA, all’interno del convegno sul tema “Alberghi. Si riparte, anzi si ritorna ad accogliere”, organizzato dall’Associazione Direttori d’Albergo della Lombardia in collaborazione con il Solidus svoltosi lo scorso 24 ottobre all’interno di HOST, la manifestazione fieristica del settore alberghiero.
Il tema assegnatomi, “Il ruolo dei professionisti dell’Ospitalità, la passione al primo posto”, mi ha messo nella condizione di fare una scelta rispetto al profilo da illustrare, dovendo considerare il tempo a disposizione e l’esigenza di contenere ragionevolmente la durata dell’intervento, ma non solo.
In effetti, le possibili strade da percorrere sarebbero state due, la prima, trattare l’argomento con enfasi, rischiando la retorica, la seconda cercando di affrontare il tema sotto l’aspetto strutturale, dando per scontato il valore di passione come presupposto dell’entusiasmo e dell’amore per il proprio lavoro, diversamente dall’ ipotesi che deve spostare l’attenzione sul piano di specifici valori, che sono etici, economici, sociali, di marketing e quant’altro.
Le abilità alle quali ho appena accennato sono da correlare agli scenari delle aree geografiche di nostro interesse e non possono prescindere dalle dinamiche dei mercati rispetto alle attese della domanda primaria dei diversi bacini d’utenza, ai bisogni e ai desideri insoddisfatti dei medesimi, come ben sostiene Kotler e, dunque, se la passione è un presupposto fondante rispetto alla condizione d’approccio, appare manifesta l’esigenza di essere Marketing Oriented, a condizione che l’orientamento sia assimilato come approccio positivo da tutte le componenti operative di settore e dovendo considerare l’offerta come un aggregato di vendita, auspicando un sistema turistico alberghiero monolitico e omogeneo nei suoi aspetti peculiari, quali gli standard della qualità, le politiche dei prezzi, il marketing pubblico e quello dei privati, le classificazioni e le tipologie alberghiere, la conduzione degli esercizi, sia pure nel rispetto delle caratteristiche dei diversi luoghi del nostro paese.
Il primo aspetto da riconsiderare è la cultura manageriale, che non può essere privilegio di alcune parti sociali ma deve essere condivisa e diffusa con le altre componenti produttive, in primo luogo con quella imprenditoriale, che è presupposto essenziale per la stabilità del sistema, al fine di evitare vistose crepe strutturali. Sia chiaro, i due ruoli, della dirigenza e dell’imprenditoria, restano separati sia per accezione giuridica, sia per genesi e natura.
Si vuole dire, in pratica, che la genericità di alcuni ragionamenti, a volte distraggono e non portano alcuna utilità sul piano della concretezza, dovendo avviarsi, invece, un processo di consapevolezza rispetto al fatto che il nostro settore, al pari di altri, genera ricchezza, occupazione, contribuisce al miglioramento della qualità della vita sia dei propri addetti, sia degli altri cittadini, e sviluppa, nel suo complesso, la promozione dell’immagine del prodotto Italia sui mercati internazionali.
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Quando accenno alle questioni strutturali, non credo di affermare cose astratte, ma riconduco il discorso ai processi culturali, che devono necessariamente incidere sia sull’identità del sistema di cui ci occupiamo, sia sugli obiettivi che intendiamo perseguire e, quindi, con chi fare questi percorsi, come farli e con quali risorse realizzarli.
Una seconda questione riguarda il sistema alberghiero italiano, in generale abbastanza polverizzato e caratterizzato da medie e piccole aziende, spesso a conduzione familiare, la cui riflessione su di esso ci consente di delineare indicatori di sottosistema, in assenza di caratteri omogenei, in più di qualche caso generato da un’offerta poco rigorosa, ma anche in assenza di politiche di reale coordinamento dello Stato, nel rispetto dei territori.
Un terzo aspetto riconduce alla considerazione che essere Manager non è sinonimo di meccanicismo, ma al contrario è saper coniugare cultura, tecnica, tecnologia e molte altre competenze che permettono di sviluppare il profilo espresso da Peroni, docente universitario, prima a Perugia e oggi a Roma, quando egli afferma che il Management si discosta dall’amministrazione tradizionalmente intesa e da altri fattori in quanto ingloba, nell’unicità della decisione, la simultanea e intelligente valorizzazione di tutti i mezzi di cui l’organizzazione dispone, privilegiando – soprattutto nel nostro caso aggiungo io – le risorse umane. Di contro, cosi come ha opportunamente evidenziato Pasini, presidente di Manageritalia, in atto, si registra un rilevante tasso d’insoddisfazione del Manager, in quanto soggetto escluso dal livello decisionale che, invece, andrebbe condiviso, in virtù del fatto che la classe dirigente è, di per sé, elemento strutturale di un qualsivoglia sistema economico generatore di ricchezza e di stabilità sociale.
Le precedenti considerazioni portano a valutare le teorie di Hobbes con maggiore frequenza, il quale, già quattro secoli addietro ha sostenuto l’esigenza di prestare molta attenzione ai comportamenti dei singoli e a quelli di gruppo, giacché rappresentano valori identificativi di sistema attraverso il quale possiamo prevedere interventi formativi e di orientamento; d’altro canto, l’entusiasmo del Manager nasce dal confronto che egli stesso fa con i suoi risultati, da cui discende il grado di autostima.
La correlazione fra i due fattori può sembrare una semplice operazione di routine, in effetti non lo è, essendo complessa, dal momento che a influenzare il risultato finale dell’analisi sono le variabili generate dall’assetto produttivo di uno specifico paese, di una distinta area e di come le dinamiche interagiscono con gli aspetti economici, politici e finanziari delle stesse.
Peroni, Pasini, Hobbes, pur con presupposti, contesti storici e obiettivi diversi, sono tre facce di una stessa medaglia, dal momento in cui, tutti e tre, sostengono la necessità di una forte partecipazione dei singoli e dei gruppi ai processi sociali ed economici del paese, riflettendo sul fatto che i percorsi di sistema riconducono alla premessa, alla passione e all’impegno,trasformandosi in fattori d’identità, in valori dell’organizzazione nel suo insieme, con particolare attenzione all’offerta turistica del nostro paese.
Si desidera affermare, in fondo, che i percorsi culturali, finalizzati a potenziare gli approcci e le incidenze sui comportamenti, non possono che essere patrimonio comune un sistema razionalmente organizzato, grande o piccolo che sia, dovendo sviluppare azioni e obiettivi di programmi con un corretto utilizzo della comunicazione, allo scopo di fare interagire diversi soggetti nei processi produttivi, ravvisando l’esigenza di un modo comune di pensare, di un’identità di sistema.
In definitiva, si tratta d’identificare i bisogni e i processi teorici da ricondurre in percorsi pratici con l’ausilio di enti formativi a qualsiasi livello.
L’Associazione Direttori Albergo, per mezzo del suo Centro Studi Manageriali ha già avviato con buon esito il ciclo formativo di Economia e Management Alberghiero: il primo si è svolto l’anno scorso, il secondo è appena iniziato.
Nella disamina odierna, è significativo richiamare l’intervento di Confturismo, al recente TTG Incontri di Rimini, per mezzo del suo vice presidente Cassarà, nel momento in cui egli segnala, da una parte il calo nazionale del 4% e più delle presenze, dall’altra, una caduta dei ricavi fra il 7 e il 10 per cento. Le due cose, se messe insieme, fanno comprendere come non si tratti di sole diminuzioni quantitative, ma di minore ricchezza prodotta rispetto allo stesso dato delle presenze, che lascia presupporre che, in preda a paure o a speculazioni, ci sia stata una politica dei prezzi al ribasso, con intuibile refluenza negativa su altri aspetti del sistema, sui risultati d’esercizio,sugli investimenti, sull’occupazione, sulla qualità dei prodotti.
E’ lecito supporre come in questo scenario di crisi l’azione delle imprese, in particolar modo quelle sottocapitalizzate, e sono tante, si siano orientate, oltre che verso vendite cosiddette marginali sotto il profilo delle dottrine economiche, al contenimento dei costi, non potendo fare diversamente e, in più di qualche caso, il dirigente sia diventato un optional, vuoi che si sia trattato di rapporto di dipendenza, vuoi che il ruolo sia stato svolto dallo stesso titolare, dal momento che la riflessione appena proposta sottolinea una certa precarietà strutturale del sistema turistico. In questo ambito s’inseriscono gli ottimisti che vedrebbero un leggero miglioramento delle economie nel 2010, mentre qualcuno altro ritiene che sia il 2011 l’anno della ripresa, dunque occorre correre in diverse direzioni.
Nello scenario occorre aggiungere come i forti mutamenti a livello globale, il grande uso della tecnologia e della tecnica, che hanno reso possibile un mutamento epocale, se solo si pensa a come siano cambiati i rapporti con l’intermediazione, essendo ormai il Web una realtà ineluttabile; la grande dilatazione dell’offerta alberghiera, in qualche caso in modo smisurato; la tendenza di alcuni speculatori a fare più finanza e meno impresa; le nuove generazioni che sono state travolte dal capovolgimento di alcuni capisaldi tradizionali, anche per effetto di una certa radicalizzazione culturale di imprenditori poco illuminati; la mancanza di un’oggettiva attività di marketing pubblico in favore delle località turistiche; i limiti di una formazione specialistica, già a livello scolastico, ma anche universitaria, che ha ricalcato modelli preesistenti in altre discipline; il riassetto del sistema creditizio, che ha cambiato pelle, venendo meno alla sua funzione di supporto per l’impresa e per l’economia, portano a considerare come la passione, di per sé importante, da sola non sia sufficiente, in quanto il problema deve essere affrontato in termini strutturali e considerando che questi processi hanno bisogno di tempo una politica di attendismo è destinata a non produrre rapporti.