Alla fine non è arrivata. La tanto agognata proroga all’anno prossimo del meccanismo di verifica sulle ritenute negli appalti previsto dal DL 124/19 (decreto fiscale, art. 4), che secondo fonti del Sole 24 Ore sarebbe costata più o meno 500 milioni di euro, non c’è stata. E per le imprese si annunciano tempi difficili, specie che siano prive del Durf e che, allo stesso tempo, non rientrino in nessuno dei casi di sospensione previsti dalla legge.
Ricordiamo (ne abbiamo parlato anche qui – cfr GSA Newsletter di gennaio) che il meccanismo di verifica delle ritenute fiscali negli appalti, un aggravio burocratico non da poco per le imprese, prevede il committente che affida il compimento di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a 200mila euro a un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente, e di beni strumentali di proprietà del committente, deve richiedere alle imprese appaltatrici/subappaltatrici/affidatarie copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali per i lavoratori dipendenti direttamente impiegati nei lavori o servizi. A tal fine, le imprese appaltatrici o affidatarie e subappaltatrici effettueranno distinti versamenti, con F24 specifico per singolo committente, senza possibilità di compensazione delle ritenute dovute con propri crediti fiscali.
Oltre al danno, poi, ecco la beffa: gli interventi “correttivi” previsti dal cd. “Cura Italia” (DL 18/20) al DL 23/2020 “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonche’ interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” (attraverso la circolare Agenzia della Entrate 8/E del 3 aprile scorso) hanno creato un vero e proprio labirinto di scadenze nel quale perdersi è un attimo. Come sempre accade in questi casi, infatti, le nuove disposizioni stratificatesi sulle precedenti hanno dato luogo a un caleidoscopio innumerevoli posizioni amministrative differenti che non è certo semplice ricondurre all’ordine.
Prendiamo il caso, senza dubbio tra i più auspicabili, di un’impresa che possieda il Documento Unico di Regolarità Fiscale, o Durf: essendo valido 4 mesi, consente ai fortunati possessori di dormire sonni tranquilli fino a giugno, e in particolare fino a fine giugno, stando alle proroghe del decreto liquidità (23 dell’8 aprile, art. 23).
Per chi non ha il “Durf”, invece, sono dolori: infatti per loro (e ovviamente per i committenti, incaricati della verifica), non è prevista nessuna proroga, con risultati ben immaginabili in un periodo di grave difficoltà per tutti, non ultimo gli uffici dell’Agenzia Entrate, dove occorre rivolgersi per ottenere il certificato: per queste imprese i cinque giorni lavorativi, a partire dal 16 marzo, previsti dal decreto fiscale per inviare ai committenti copia delle deleghe di versamento delle ritenute relative a febbraio, sono già scaduti. E così anche per quelle da versare il 21 aprile, relative a marzo. Il timore, che in alcuni casi è già divenuto realtà, è quello di andare incontro al blocco dei pagamenti in caso di ritardo nelle comunicazioni o di versamenti ritardati per carenza di liquidità, in una sorta di circolo vizioso.
Ma non è finita qui, perché il quadro è ancora più frastagliato: pensiamo ad esempio alle imprese ubicate nelle prime Zone Rosse, che hanno beneficiato di sospensioni relative al mese di marzo, o a quelle che rientrano nei parametri di decremento dei volumi che ha fatto scattare ulteriori sospensioni per aprile/maggio. Uno scenario caotico, insomma, che in un momento come questo, già di per sé difficile per tutti, sarebbe stato meglio appianare.
Link DL 124/19 (decreto fiscale)