La frittata è fatta. Né la Legge di Stabilità (208 del 28 dicembre 2015), né il “Milleproroghe” (210 del 30 dicembre 2015), entrambi usciti agli sgoccioli dell’anno appena trascorso, contengono provvedimenti per scongiurare il pagamento del “Ticket licenziamento” in caso di cambio d’appalto, introdotto dalla legge Fornero (è infatti previsto dal comma 31 dell’articolo 2, della Legge n. 92/12, come Aspi), che però prevedeva un periodo di esenzione (2013-2015) in caso di passaggio diretto del personale. Dal 1° gennaio di quest’anno, dunque, anche nei casi di cambi d’appalto andrà pagato quello che ormai tutti chiamano il ticket di licenziamento, e che altro non è che la Naspi, versione aggiornata dell’Aspi prevista dalla legge Fornero a carico delle imprese che licenziano. Insomma, dal 1° gennaio di quest’anno anche i datori di lavoro che a seguito di cambio di appalto licenziano lavoratori che, in ottemperanza a clausole sociali finalizzate a garantire la occupabilità, sono assunti da altri datori di lavoro, secondo le previsioni contenute in contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dovranno pagare il “ticket licenziamento”. A nulla vale, dunque, la presenza nella contrattazione collettiva di clausole sociali come quelle dell’articolo 4 del Ccnl “Multiservizi” FISE- Federazione imprese di servizi sottoscritto da LegacoopServizi, Federlavoro e servizi Confcooperative, Unionservizi CONFAPI, AGCI Servizi e FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTRASPORTI UIL, e parimenti da FNIP-Confcommercio con le medesime OOSS: un articolo pensato proprio per evitare la messa in stato di disoccupazione dei lavoratori delle imprese che perdono l’appalto. Tale clausola sociale (prevista dall’articolo 4 del CCNL), quando applicata, tutela infatti il lavoratore proprio in caso di cambio di appalto, in quanto se un’azienda perde l’appalto il lavoratore viene assorbito, per contratto, dall’azienda subentrante. Chi vince la gara ha, cioè, l’obbligo di assumere i dipendenti dell’impresa uscente, senza quindi creare disoccupazione. E a nulla sono valse le ripetute istanze e gli appelli congiunti delle medesime associazioni e sindacati, che a più riprese, da oltre un anno, sollevano la questione.
Dal 1° gennaio, insomma, il ticket licenziamento è obbligatorio in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza più alcuna deroga: ricordiamo che con le nuove regole del Jobs Act (183/2014), l’Aspi è stata sostituita dalla Naspi con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015. Con la Naspi, oltre alla platea dei beneficiari (che si allarga), cambiano soprattutto le modalità di calcolo. A differenza della vecchia Aspi, calcolata sul 75% dell’ultima retribuzione fino a un massimo, nel 2014, di 1165,58 euro, la Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile degli ultimi quattro anni utili, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33. Insomma, una vera e propria scure (peraltro ingiusta) sulle imprese del nostro settore, in cui i cambi d’appalto sono frequentissimi.
Una soluzione potrebbe arrivare dal ricorso alla formula della “risoluzione consensuale”, visto che né la legge, né l’art. 4 del Contratto Collettivo impongono di necessità di qualificare le risoluzioni dei rapporti di lavoro come “licenziamenti”. La strada, pur complessa, è praticabile e non si pone in violazione di alcuna legge né a danno del lavoratore, che in caso di consenso manterrebbe la certezza del suo posto di lavoro. Nella prossima uscita approfondiremo la questione.