Quella del Tfr è una delle “rivoluzioni” più discusse della nuova Legge di Stabilità (190/2014). La Legge, al comma 26 dell’articolo 1, introduce il comma 756 bis dell’art. 1 della Legge 296/2006 (la Finanziaria per il 2007, che all’art. 1 comma 755 istituiva il “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile” gestito, per conto dello Stato, dall’INPS su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato): il citato comma introdotto dalla Legge di Stabilità (si riporta in fondo il testo completo dell’articolo 1, comma 26) stabilisce che il lavoratore privato (esclusi i lavoratori domestici e agricoli) in servizio da almeno 6 mesi che lo desiderasse potrà ottenere, dal 1° marzo 2015 fino al 30 giugno 2018, il maturando Tfr in busta paga sotto forma di integrazione della normale retribuzione mensile assoggettata a tassazione ordinaria. Si tratta di una “terza via” che si aggiunge alle altre due già note: il mantenimento della somma in azienda (la situazione migliore per l’impresa, che in tal modo ha a disposizione un “gruzzolo” di liquidità in più da utilizzare come serbatoio di autofinanziamento), o il trasferimento dell’importo a un fondo previdenziale.
Aziende con meno di 50 dipendenti: che fare?
Ora, al di là degli aspetti meramente tecnici, a noi interessa soprattutto che cosa succederà alle imprese.
Il cambiamento, che comunque vale per tutte le aziende, riguarderà soprattutto quelle che impiegano meno di 50 dipendenti, che rischiano una perdita di liquidità. Infatti, mentre i datori di lavoro con più di 50 dipendenti già dalla Finanziaria 2007 erano stati obbligati dal legislatore a conferire il Tfr alla previdenza complementare o al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto” gestito dall’Inps (che è il fondo che raccoglie il Tfr dei lavoratori impiegati presso datori di lavoro con una media di almeno 50 dipendenti nel 2006 che hanno deciso di mantenere il TFR in azienda), le aziende più piccole non erano tenute, per effetto del comma 756 della Finanziaria 2007, a versare le quote di Tfr a tali fondi. Queste imprese, che fino ad oggi erano autorizzate a tenere il somme per il Tfr in azienda, qualora i dipendenti optassero per l’integrazione mensile con Tfr in busta paga si troverebbero costrette a smobilizzare gli importi, per effettuare il pagamento direttamente in busta paga, con un impatto sul bilancio non indifferente. Le aziende con meno di 50 dipendenti, dunque, dovranno comunque smobilizzare la liquidità necessaria per pagare i lavoratori che desiderassero il Tfr in busta. Per farlo hanno due possibilità: o corrispondere la somma con risorse proprie, e ottenere così le misure compensative di carattere fiscale previste dalla 252 del 2005 (in calce il testo completo), o aderire allo schema di accesso al credito creato ad hoc previsto dal comma 25 dell’art. 1 della legge di Stabilità.
Si può scegliere il finanziamento assistito da garanzia (comma 25)
A tale proposito, proprio per venire incontro ai datori che non intendano (o non siano in grado) di corrispondere con risorse proprie la quota di Tfr, il legislatore ha pensato alla possibilità di accedere a un finanziamento assistito da garanzia istituito presso l’Inps con il comma 27 della Legge di Stabilità. Il citato comma 27 istituisce presso l’INPS un Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per le imprese con alle dipendenze un numero di addetti inferiore a 50, con dotazione iniziale pari a 100 milioni di euro per l’anno 2015 a carico del bilancio dello Stato e alimentato dal gettito contributivo di cui al comma 24, secondo periodo. Gli interventi del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato quale garanzia di ultima istanza. Il comma 25 della Legge di Stabilità prevede infatti che i datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota maturanda possono accedere a un finanziamento assistito da garanzia rilasciata dal Fondo istituito dal comma 27 e da garanzia dello Stato, di ultima istanza. Il finanziamento è altresì assistito dal privilegio speciale in materia bancaria e creditizia. Il comma 26 stabilisce che, al fine di accedere ai finanziamenti, i datori di lavoro devono tempestivamente richiedere all’INPS apposita certificazione del trattamento di fine rapporto maturato in relazione ai montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore e presentare richiesta di finanziamento presso una delle banche o degli intermediari finanziari che aderiscono all’apposito accordo-quadro da stipulare tra i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell’economia e delle finanze e l’Abi.
Agevolazioni fiscali per chi non opta per il finanziamento
Il comma 23 prevede che per i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti e non optino per lo schema di accesso al credito previsto dal comma 25 si applicano misure compensative di carattere fiscale e contributivo attualmente previste dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 252 del 2005 per le imprese che versano il TFR a forme di previdenza complementare ovvero al Fondo di Tesoreria istituito presso l’INPS, relativamente alle quote maturande liquidate come parte integrativa della retribuzione sopra descritte. Le medesime disposizioni trovano applicazione con riferimento ai datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze un numero di addetti pari o superiore a 50 addetti, relativamente alle quote maturande liquidate come parte integrativa della retribuzione sopra descritte.
Quanto alle aziende con più di 50 addetti, naturalmente vale anche per i loro dipendenti l’opzione “Tfr in busta paga”. In questo caso, qualora il Tfr maturando andasse ai Fondi di previdenza complementare (una delle due opzioni previste dalla Finanziaria 2007), tali versamenti potranno essere interrotti per i tre anni stabiliti dalla legge.
In ogni caso bisogna anche considerare gli aspetti fiscali della nuova opzione, che potrebbero comportare una tassazione Irpef più alta rispetto ai sistemi tradizionali. Il fisco, infatti, non fa nessuno sconto: infatti, se il lavoratore si potrà trovare un incremento al netto in busta paga, bisogna considerare che sulla retribuzione aumentata subirà una tassazione ordinaria, con applicazione dell’aliquota marginale Irpef e integrazioni: al contrario, qualora ricevesse il Tfr solo a fine rapporto potrebbe fruire di tassazione Irpef separata, a condizioni agevolate: a guadagnarci, dalla nuova opzione, sarà dunque l’Erario che potrà contare su un incasso più alto mese per mese.
Si riporta il testo del citato comma 26 dell’art. 1 della Legge di Stabilità per il 2015
– Comma 26. All’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 756 e’ inserito il seguente:
«756-bis. In via sperimentale, in relazione ai periodi di paga decorrenti dal 1º marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro, possono richiedere al datore di lavoro medesimo, entro i termini definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che stabilisce le modalità di attuazione della presente disposizione, di percepire la quota maturanda di cui all’articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione e’ assoggettata a tassazione ordinaria, non rileva ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 19 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e non e’ imponibile ai fini previdenziali. Resta in ogni caso fermo quanto previsto al comma 756. La manifestazione di volontà di cui al presente comma, qualora esercitata, e’ irrevocabile fino al 30 giugno 2018. All’atto della manifestazione della volontà di cui al presente comma il lavoratore deve aver maturato almeno sei mesi di rapporto di lavoro presso il datore di lavoro tenuto alla corresponsione della quota maturanda di cui all’articolo 2120 del codice civile. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai datori di lavoro sottoposti a procedure concorsuali e alle aziende dichiarate in crisi di cui all’articolo 4 della citata legge n. 297 del 1982. In caso di mancata espressione della volonta’ di cui al presente comma resta fermo quanto stabilito dalla normativa vigente»
Testo articolo 10 “Misure compensative per le imprese del Dl 252/2005
1. Dal reddito d’impresa e’ deducibile un importo pari al quattro per cento dell’ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari; per le imprese con meno di 50 addetti tale importo e’ elevato al sei per cento.
2. Il datore di lavoro e’ esonerato dal versamento del contributo al fondo di garanzia previsto dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella stessa percentuale di TFR maturando conferito alle forme pensionistiche complementari, ferma restando l’applicazione del contributo previsto ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.
3. Le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per facilitare l’accesso al credito per le imprese a seguito del conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, istituito dall’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, sono stabilite con il decreto previsto nel medesimo comma, nel rispetto delle prescrizioni contenute in un apposito accordo stipulato dai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell’economia e delle finanze con l’Associazione bancaria italiana, fermo restando, in ogni caso, il rispetto della dotazione finanziaria a tal fine prevista.
4. Un’ulteriore compensazione dei costi per le imprese, conseguenti al conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, e’ assicurata anche mediante una riduzione del costo del lavoro, attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di TFR maturando conferito, nei limiti e secondo quanto stabilito dall’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.
5. Le misure di cui al presente articolo si applicano previa verifica della loro compatibilità con la normativa comunitaria in materia.