Dal 1° gennaio di quest’anno licenziare costerà molto di più, almeno per i “collettivi”. Precisamente il doppio, stando al comma 137 dell’art. 1 della legge di bilancio per il 2018, approvata lo scorso 27 dicembre con il numero 205/17, che interviene sull’importo del cd. ticket licenziamento introdotto dalla legge n. 92- 2012, in caso di procedure collettive.
Così il testo di legge: “A decorrere dal 1º gennaio 2018, per ciascun licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, l’aliquota percentuale di cui all’articolo 2, comma 31, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e’ innalzata all’82 per cento. Sono fatti salvi i licenziamenti effettuati a seguito di procedure di licenziamento collettivo avviate, ai sensi dell’articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, entro il 20 ottobre 2017”.
In altre parole: per ciascun licenziamento collettivo, il datore di lavoro è tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, pagando l’aliquota percentuale innalzata all’82% del massimale previsto per la Naspi, invece che 41%, il doppio di quanto previsto finora. In precedenza l’importo massimo, corrispondente al 41% del massimale convenzionale Naspi, era infatti pari a 1.470 euro. L’aumento porta dunque il ticket licenziamento per ciascun lavoratore a 2.940 euro. Fanno eccezione i licenziamenti collettivi a seguito di procedure instaurate entro ottobre 2017, ai sensi dell’art. 4 della l. 223/1991.
Il licenziamento collettivo, disciplinato appunto dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge. La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando: sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale come la Cassa Integrazione e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non potere utilizzare misure alternative; l’impresa (che ha più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti) decide di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.