Il dipendente sta lavorando su una scala inadeguata, ha un malore e cade. Che succede? E’ da considerarsi un caso fortuito o no? E’ quello che si sono chiesti i giudici della magistratura ordinaria che hanno esaminato il fatto occorso a un dipendente di un’impresa di pulizia impegnato in attività “in quota” con l’ausilio di una scala.
Va detto, per inciso, che proprio le scale sono da considerarsi tra gli strumenti più a rischio per le imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, anche perché sono utilizzate ancora con eccessiva superficialità, ove non siano addirittura pericolanti, male manutenute, sconnesse: nel caso esaminato dalla Cassazione Penale, che nella sentenza n. 18414/2018 del 27 aprile scorso ha messo la parola fine a una lunga diatriba giudiziaria ribaltando i precedenti pronunciamenti, un operatore, durante il servizio svolto su scala doppia all’esterno di una finestra di un ufficio postale, accusava un malore e si ribaltava procurandosi lesioni con prognosi di oltre 40 giorni. E proprio qui sta il punto.
Infatti il caso è particolarmente interessante: posto che, come è stato dimostrato in giudizio, il lavoratore sia stato equipaggiato in modo inadeguato (la scala doppia gli è stata data per difetto di altre strumentazioni più idonee, in più non era stata effettuata una corretta valutazione dei rischi), il malore deve comunque essere considerato un caso fortuito e imprevedibile? Per il Tribunale sì: non c’è responsabilità datoriale perché il fatto non sussiste. Insomma, secondo i giudici di primo grado è vero che il datore ha “adibito il lavoratore alle predette operazioni mediante l’utilizzo di una scala doppia, in difetto di altra idonea attrezzatura, per colpa generica e per violazione delle seguenti norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, e “per aver effettuato una valutazione dei rischi carente in relazione all’indicazione della tipologia di trabattelli o di scale da utilizzare in relazione alle caratteristiche del sito”, ma ciononostante non si sarebbe configurato alcun nesso di casualità “tra la condotta del datore di lavoro e l’evento sulla base della deposizione del lavoratore, che ha dichiarato di essere caduto a causa di un malore”.
Non per la Cassazione, però. Chiamati in causa dalla Procura della Repubblica, gli Ermellini hanno messo l’accento sul fatto c he il malore del lavoratore non possa qualificarsi come caso fortuito idoneo ad escludere il nesso causale tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro, per la mancata predisposizione di misure di prevenzione, e l’evento. La Cassazione sottolinea che, in tema di infortuni sul lavoro, “la responsabilità del datore di lavoro sussiste qualora sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, ed anche ove l’evento dannoso si verifichi a causa dell’omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all’imprenditore dall’art.2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore con la conseguenza che ricadono sul datore di lavoro, che abbia omesso di adottare tali misure ed accorgimenti, anche quei rischi derivanti da cadute accidentali, stanchezza, disattenzione o malori comunque inerenti al tipo di attività che il lavoratore sta svolgendo. Nel caso concreto, dunque, risulta del tutto tralasciato l’accertamento del pieno rispetto, da parte del datore di lavoro, delle misure antinfortunistiche la cui violazione, sia in termini di colpa generica che in termini di colpa specifica, era stata contestata”. Il datore quindi, è comunque da condannare. Non lo diremo mai abbastanza: attenzione, perché con la sicurezza non si scherza.