Se ne parla da un anno, precisamente da quando l’Ue, con la direttiva 2041 del 19 ottobre 2022, ha invitato i Paesi europei che ancora non lo prevedessero per legge a riflettere sul tema del salario minimo.
L’articolo 36 della Costituzione
E da tempo abbiamo espresso l’opinione che al lavoratore, ad ogni lavoratore, spetti un salario idoneo a garantire a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. D’altra parte non sono parole nostre, ma dei padri costituenti, visto che è proprio la Carta costituzionale, all’art. 36, a ricordarci che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita’ e qualita’ del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se’ e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Come quantificare il “minimo dignitoso”?
Sennonché il quesito emerso fin da subito è a chi spetti quantificare, in soldoni, quanto si intenda per retribuzione proporzionata e sufficiente per un’esistenza dignitosa. Al che, sin dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, l’ultima parola è andata ai giudici. Ed è curioso che ora, oltre 70 anni dopo, sia sempre la giurisprudenza a pronunciarsi sulla legittimità, o meglio illegittimità, di certe paghe “da fame”. Il fatto è che mentre infuria il dibattito parlamentare la vita continua, e stipendi come quello dei lavoratori di una società di servizi fiduciari pugliese, che percepivano 5,49 euro/ora per servizi notturni, o come quello del personale di security milanese nel caso affrontato dalla Corte d’Appello Milano, sentenza n. 961 del 5 gennaio 2023, che guadagnava 950 euro lordi a fronte di turni di lavoro che arrivavano anche a 11 ore -di fatto anche qui 5,49/ora- sono inaccettabili. Per non parlare del 5,37 previsti da alcuni contratti. E poca differenza fa con i 6,84 o 7,04 (lordi, beninteso) messi nero su bianco da altri Ccnl “veri”.
Oltre 20 Ccnl troppo “poveri”. E non sono contratti “pirata”
Paghe troppo basse anche se espressamente previste dai Contratti nazionali di categoria, peraltro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente maggiormente rappresentative. D’altronde, stando all’analisi riportata dalla stampa nazionale, in Italia esistono oltre 20 Ccnl non “pirata” che prevedono paghe orarie sotto i 9 euro/ora. Ma a chi spetta davvero tracciare il limite? La questione è intricata, in quanto da un lato troviamo il rapporto, di natura amministrativistica, fra imprese e le stazioni appaltanti, dall’altro quello fra l’impresa-datore e il lavoratore che vede mutare radicalmente le proprie condizioni di vita a seconda del contratto che viene applicato dall’appaltatore-datore. Ovviamente accade che, a seconda del contratto applicato, può cambiare radicalmente il trattamento economico e lavorativo del dipendente. Un problema, quello dell’applicazione dei Ccnl, che -va detto- è stato affrontato più volte dalla magistratura amministrativa in senso favorevole alla libertà d’impresa.
Che Contratto applicare? Gli orientamenti della magistratura amministrativa
Quello della legittimità dell’applicazione dei contratti collettivi è infatti un tema plurimamente trattato dai giudici amministrativi anche in epoche recenti, di norma chiamati in causa dalle imprese per stabilire la legittimità o meno, da parte delle stazioni appaltanti, di prevedere l’obbligo, in sede di lex specialis, di adottare un preciso Ccnl più tutelante per i dipendenti. Orbene, quanto all’applicazione dei contratti più vantaggiosi per le imprese, il GA ha mostrato una posizione piuttosto solida nel permettere alle medesime, in virtù della propria autonomia organizzativa, di utilizzare il Ccnl più vantaggioso lato impresa (e dunque meno per i lavoratori). Si veda ad esempio la sentenza del Consiglio di Stato n. 7053 del 20 ottobre 2021, relativa a un contenzioso su servizi di manutenzione: “Il Ccnl da applicare ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto non può essere prestabilito nel bando di gara”, scrivono i giudici di Palazzo Spada, confermando una linea seguita da diversi Tribunali amministrativi regionali: su tutti Tar Liguria, Sezione I, che con sentenza n. 676 del 01 ottobre 2020, ha ribadito che la discrezionalità dell’imprenditore di applicare il Ccnl che preferisce è limitata soltanto dalla stretta connessione con l’oggetto dell’appalto, senza che sia possibile per l’amministrazione imporre una tipologia di Ccnl). Insomma: l’orientamento della giurisprudenza è pressoché univoco nel ritenere che la scelta del contratto collettivo da applicare rientri nelle prerogative dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti con il solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto, così che la stazione appaltante non può imporre l’applicazione di un particolare CCNL perché altrimenti verrebbero compromessi i principi comunitari di concorrenza e parità di trattamento tra le imprese (e pluribus Consiglio di Stato, sez. V, 1° marzo 2017, n. 932; 12 maggio 2016, n. 1901; 10 febbraio 2016, n. 589). E sulla scorta di tali pronunciamenti favorevoli molte imprese hanno continuato a operare comprimendo le paghe dei lavoratori, grazie appunto all’applicazione di Ccnl meno tutelanti.
La prospettiva privatistica e la magistratura ordinaria
Sennonché a “sparigliare” la questione ci ha pensato la magistratura ordinaria, che si pronuncia -lo ricordiamo- sulla lesione o compressione di diritti civili (e non di legittimi interessi), quindi legge la questione nell’ottica del rapporto, di natura squisitamente privatistica, fra impresa e dipendente, e non già, come i Tar e il CdS, sotto la lente della relazione pubblicistica tra appaltante pubblico e appaltatore privato. E che per questo, evidentemente, si è dimostrata sin da subito più attenta alla tutela delle condizioni di vita e dignità dei lavoratori. Fino ad arrivare a dire, come la Cassazione nella sentenza 28320 del 10 ottobre 2023 che se la paga è troppo bassa il giudice può arrivare persino a disapplicare il contratto collettivo. Ed è solo una delle sei sentenze degli Ermellini che si sono susseguite nell’arco di poco più di una settimana, tra il 2 e il 10 del mese. Giusto a titolo di ulteriore esempio, si veda la sentenza n. 27711 proprio del 2 ottobre, con cui i giudici della Suprema corte, accogliendo il ricorso del dipendente di una coop, dispongono che occorra allargare l’analisi dei parametri per determinare la retribuzione minima, in caso di contrasto con l’articolo 36 della Costituzione.
Se le paghe sono troppo basse si deve disapplicare il contratto
Nello specifico, i giudici sottolineano che per verificare se la retribuzione del lavoratore è proporzionale all’attività svolta, il magistrato è tenuto a fare riferimento prima di tutto agli importi previsti dal Ccnl di categoria.
Allo stesso tempo può discostarsene se la paga non può essere ritenuta sufficiente in base al dettato costituzionale. Come parametro può avvalersi del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe o fare riferimento a indicatori economici o statistici, come consiglia la direttiva Ue 2022/2041.
I compiti del giudice
Del medesimo tenore, lo stesso giorno 2 ottobre, si pronuncia la n. 27769, sulle cause promosse da alcuni lavoratori soci di una cooperativa per ottenere l’adeguamento della retribuzione percepita in applicazione del Ccnl Servizi fiduciari, ritenuta insufficiente. In proposito, la Corte ricorda il dovere del giudice di procedere al raffronto della retribuzione percepita anzitutto con quella prevista dal Contratto applicato e, in caso di ritenuta insufficienza di quest’ultima, anche in base ad altri parametri, quali i Ccnl di categorie limitrofi o relativi a mansioni analoghe, dati statistici e così via.
Dalla Cassazione un parametro concreto
Ma la Corte di Cassazione si è spinta anche oltre, indicando un parametro concreto: in queste pronunce ha precisato fra l’altro che lo stipendio mensile per un lavoratore con moglie e figli deve essere di circa 1.600 euro mensili: dunque la norma del citato Ccnl Servizi fiduciari -siglato dalle Oo.Ss. comparativamente più rappresentative, e non certo un contratto “pirata”-, che esclude il pagamento delle ore straordinarie durante le ferie, non è legittima. Di nuovo tale norma contrattuale si pone in contrasto con i parametri di sufficienza e proporzionalità stabiliti dall’articolo 36 della Costituzione, che torna ancora come un vero e proprio “mantra”.
Verso il “salario minimo costituzionale”?
E’ dunque aperta la strada a ulteriori ricorsi di tal genere, che troveranno sicuro accoglimento da parte del giudice ordinario. Si parla già, insomma, di salario minimo costituzionale, di fatto fissato dalla giurisprudenza: un colpo di spada netto inferto anche a coloro che vedevano nei contratti collettivi una misura idonea a rispondere all’Europa in mancanza di accordo parlamentare sulla via legislativa.