Il riassorbimento personale uscente a seguito di cambio d’appalto, lo sappiamo, è un “paracadute” sociale previsto dalla contrattazione collettiva per preservare la stabilità occupazionale dei dipendenti. In questi anni, tuttavia, tale clausola è stata applicata variamente dalle imprese, spesso al limite della legittimità. I contenziosi sono numerosi e tutti molto interessanti, proprio come quello sfociato nella recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 6957 del 18 ottobre scorso, che ha stabilito il principio della “flessibilità” della clausola sociale.
In particolare i giudici di Palazzo Spada, Quinta Sezione, hanno riformato una sentenza con cui il Tar Umbria aveva ritenuto che l’aggiudicatario avesse eluso la finalità della clausola sociale in quanto aveva dichiarato nel proprio progetto di riassorbimento l’impegno ad assumere il 70% lavoratori impiegati dal gestore uscente, specificando che ciò sarebbe avvenuto compatibilmente con la propria organizzazione. Il punto è che successivamente, in sede di anomalia, aveva specificato che i dipendenti del vecchio appaltatore sarebbero stati impiegati solo part time -anziché full time, come avveniva in costanza del precedente contratto- completando l’organico con dei neoassunti per avere i relativi sgravi contributivi per un totale di circa 40mila euro/anno.
Il Giudice di appello non ha condiviso la conclusione del TAR, ricordando come, secondo consolidata giurisprudenza, la clausola sociale è connotata da flessibilità, non potendo imporre un riassorbimento integrale del personale in danno della libertà di impresa, per cui essa non possa ritenersi automaticamente violata qualora l’appaltatore subentrante assuma i dipendenti del vecchio gestore a condizioni diverse rispetto a quelle precedenti (in questo caso, in termini di orario lavorativo).
Il Cds ha dunque confermato “il consolidato orientamento secondo cui la c.d. clausola sociale è connotata da un necessario carattere di flessibilità, collocandosi nell’ambito della libertà d’impresa ed avendo quali parametri di riferimento le esigenze della stazione appaltante (che non possono comunque imporre un riassorbimento integrale del personale, in quanto verrebbero a limitare eccessivamente la libera iniziativa economica dell’operatore concorrente) e quelle dei lavoratori, non potendo l’elasticità di applicazione della clausola spingersi fino al punto da legittimare politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro perseguito attraverso la stessa”.