Per la disciplina della revisione dei prezzi nei contratti d’appalto bisogna risalire nel tempo al lontano 28 febbraio 1986, con la legge 41 che sancisce che:
“per i lavori di cui al precedente comma 2 aventi durata superiore all’anno, la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa, a decorrere dal secondo anno successivo alla aggiudicazione e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno e dell’intera anticipazione ricevuta, quando l’Amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione è aumentato o diminuito in misura superiore al 10 per cento per effetto di variazioni dei prezzi correnti intervenute successivamente alla aggiudicazione stessa. Le variazioni dei prezzi da prendere a base per la suddetta revisione per ogni semestre dell’anno sono quelle rilevate, rispettivamente, con decorrenza 1° gennaio e 1° luglio di ciascun anno.”
D’accordo, ma la revisione dei prezzi da quando decorre? Dalla data della presentazione dell’offerta o da quella dell’aggiudicazione? Da quest’ultima, secondo il Tar Molise. E’ proprio su questo aspetto, infatti, che si sono concentrati i giudici molisani, che hanno stabilito che “se la revisione-prezzi tende a ristabilire il rapporto sinallagmatico tra la prestazione dell’appaltatore e la controprestazione dell’Amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato, qualora questi superino la soglia dell’alea contrattuale come determinata dalla legge, essa può evidentemente operare soltanto dopo che il rapporto contrattuale sia sorto, cioè dopo l’aggiudicazione”.
Ricordiamo anche che, nel settore dei servizi, qualcosa è cambiato con l’entrata in vigore, nell’aprile 2016, del nuovo Codice degli appalti. Per i contratti di forniture e servizi a carattere continuativo o periodico il vecchio Codice appalti 163/06 prevedeva espressamente l’introduzione nel contratto di apposite clausole di revisione dei prezzi; in particolare, l’art. 115 stabiliva che: “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5 (costi standardizzati). Insomma, la clausola di revisione del prezzo costituiva un obbligo inderogabile per le stazioni appalti.
Con il nuovo Codice (art. 106 comma 1), viene prevista la possibilità, per tutte le tipologie di appalto (forniture, servizi e lavori), di inserire nei contratti clausole di revisione prezzi chiare, precise e inequivocabili. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Le clausole non possono alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro. Inoltre, relativamente ai contratti di forniture e servizi restano ferme le disposizioni di cui all’art. 1, comma 511, legge 208/2015 (Legge di stabilità 2016) che prevede che in caso di variazione dei prezzi, in un aumento o in diminuzione, superiore al 10 %, l’appaltatore o il soggetto aggregatore ha facoltà di richiedere una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo.