Partiamo dal fatto, ormai ben noto a tutti gli addetti ai lavori: con il prossimo anno scompariranno gli appalti di pulizia nelle scuole, a favore di una totale internalizzazione del servizio.
Si torna alle origini
Ritorno al passato, dunque: una mossa in controtendenza, va subito detto, rispetto a quanto stanno facendo altre grosse committenze pubbliche e private. Ma tant’è: il DL 126/2019, adottato dal Consiglio dei Ministri il 10 ottobre e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 ottobre scorso, dice a chiare lettere che le cose stanno così e in tutto questo –detto per inciso- non hanno certo giocato a favore dell’affidamento esterno i fatti di cronaca che hanno riguardato le megaconvenzioni Consip relative proprio ai servizi di pulizia nelle istituzioni scolastiche statali.
Via libera dal Cspi
Insomma, a breve saranno assunti a tempo indeterminato oltre 11 mila fra Collaboratori scolastici del personale ex LSU e appalti storici, in base all’art. 1, comma 760 Legge 145/2018. Sul versante scuole, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), riunito in seduta plenaria il 13 novembre 2019 ha espresso parere favorevole in merito allo schema di Decreto Interministeriale, che dovrà definire, appunto, modalità e termini di partecipazione alla procedura di assunzione in ruolo di Collaboratori scolastici del personale ex LSU e appalti storici, in base all’art. 1, comma 760 Legge 145/2018.
Il punto di vista (critico) delle imprese
Via libera dunque dal punto di vista delle scuole (a parte alcune modifiche tecniche, legate soprattutto all’aspetto formativo, richieste dal Consiglio Superiore). Detto questo, le imprese che ne pensano? Ebbene, lato imprese non fila tutto così liscio, se è vero, come è vero, che le principali associazioni datoriali firmatarie del Ccnl “Multiservizi” hanno recentemente espresso le loro perplessità più che concrete. Il primo aspetto riguarda i numeri: a fronte di 16mila lavoratori interessati –tra Lsu e appalti storici-, quindi ad altrettante procedure di licenziamento, il contingente promesso dal Ministero ammonta a 11 mila lavoratori o poco più. E i restanti 5mila? Allo stato attuale delle cose rischiano di trovarsi da un giorno all’altro senza occupazione. Un danno sociale gravissimo, senza contare quello economico che graverà, oltre naturalmente che sui lavoratori stessi, anche sulle casse delle imprese, che si vedranno costrette a sborsare, calcolatrice alla mano, qualcosa come 80 milioni di Naspi, non essendo comunque automatica la riassunzione nemmeno degli 11mila “fortunati”, e comunque nelle more di una procedura concorsuale ancora da definirsi.
“Il confronto mancato”
Ad essere coinvolti, secondo il presidente Anip-Confindustria Lorenzo Mattioli, sono circa 30mila plessi in tutta Italia. Numeri che parlano da soli, tanto più che, sempre stando ad Anip, “è completamente mancato il confronto con un governo che sta continuando a lavorare a una decretazione in totale contrasto con le norme nazionali ed europee. In un’analisi costi-benefici, l’associazione che fa capo a Confindustria stima che nei prossimi 10 anni vi sarà un esborso per l’erario di oltre 2 miliardi, senza contare la pioggia di ricorsi e contenziosi delle parti in causa”. Per Fabrizio Bolzoni, di Legacoop Produzione e Servizi, i lavoratori ex Lsu rischierebbero innanzitutto “una riduzione dell’orario lavorativo, che sarebbe già stata prospettata, oltre ai 5mila disoccupati che non passeranno il “filtro” (ricordiamo, a titolo informativo, che l’orario lavorativo di un collaboratore scolastico è di 36 ore a settimana).
La “scure” della Naspi
A ciò si aggiunge l’indennità Naspi, che sarà totalmente a carico delle imprese e che ammonterebbe a circa 80 milioni di euro, e che potrebbe creare non pochi grattacapi a molte imprese. D’altra parte, segnala Massimo Stronati di Confcooperative Lavoro e Servizi, come poter considerare positivamente un processo di re-internalizzazione che, anziché creare occupazione, rischia di creare esuberi? “Il lavoro e le imprese sono il fulcro del public procurement che può avere un effetto di rilancio sul Prodotto Interno Lordo, e internalizzando un servizio di questo tipo si penalizzano proprio le imprese che sono cresciute mettendo il lavoro al centro del loro interesse. A ciò si aggiunge il vero e proprio dramma per tutti quei lavoratori che, nel giro di poche ore, si troveranno senza occupazione: si tratta per la maggior parte di donne tra i 50 e i 55 anni, che faticheranno a reinserirsi nel mondo del lavoro alle stesse condizioni. Ancora, come dimenticare anche l’indotto, che subirà un ridimensionamento dalla riduzione delle ore lavorative?”.
Perché lo Stato dovrebbe fare meglio?
Punti di vista condivisibili, a cui ci permettiamo di aggiungere il nostro, limitandoci agli aspetti qualitativi che riguardano il servizio: in quest’ottica appare piuttosto “superficiale” pensare che il problema della qualità delle pulizie scolastiche possa essere risolto riportando sotto l’ala dello Stato ciò che non lo era. Perché mai, infatti, un servizio autogestito (e che, diciamolo, non è nemmeno il core business delle istituzioni scolastiche, che sono in primo luogo enti educativi) dovrebbe funzionare meglio di uno erogato da imprese specializzate, che negli anni hanno sviluppato know-how e modalità operative adatte al contento e alla specifica tipologia di servizio? Tornando per un attimo sui banchi di scuola, ci verrebbe proprio da parafrasare: “Agli eventi (che seguiranno) l’ardua sentenza”. A noi pare che, messa così, la soluzione sia peggiore del problema.