Rilevante pronuncia della Cassazione penale: con la recente Sentenza n. 1454 del 12 gennaio 2024 la Suprema Corte ha sancito l’esclusione del distributore dalle figure responsabili del reato previsto dall’articolo 16 del Dlgs 133/2009, vale a dire la violazione delle norme del regolamento europeo in materia di sostanze chimiche in quantità vietate.
Il caso è relativo a un distributore di collanti contenenti toluene (un solvente pericoloso), chiamato in causa appunto per la presenza nei prodotti da lui immessi sul mercato di tale sostanza chimica in misura superiore al consentito (ma è facile trasporlo, ad esempio, al settore delle pulizie professionali, e in particolare ai distributori di prodotti chimici). Va detto che il “dealer” non preparava la colla, ma si limitava a confezionarla in tubetti e distribuirla all’ingrosso.
Ora, pur condannato dai giudici di merito, l’imprenditore è stato scagionato in Cassazione in virtù del “combinato” fra le definizioni del dlgs 133 e dell’articolo 67 del regolamento (Ce) n. 1907/2006 che stabilisce i principi ed i requisiti per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche.
Di fatto, la sentenza si basa sulla lettura letterale di tali previsioni normative, che prevedono precise responsabilità penali a carico dei soggetti che violano le restrizioni, tra cui però non rientra il semplice “distributore”: l’articolo 16 del Dlgs 133/2009 -recante “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1907/2006 che stabilisce i principi ed i requisiti per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche”- indica infatti come responsabili del prodotto pericoloso il fabbricante, l’importatore, il rappresentante esclusivo o l’utilizzatore finale.
Leggiamolo nel dettaglio: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il fabbricante, l’importatore, il rappresentante esclusivo o utilizzatore a valle che fabbrica, immette sul mercato o utilizza una sostanza in quanto tale o in quanto componente di un preparato o di un articolo non conformemente alle condizioni di restrizioni previste dall’Allegato XVII del regolamento al di fuori dei casi di cui all’articolo 67 del regolamento, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da 40.000 a 150.000 euro”.
Tutti profili che non qualificano il ricorrente: quest’ultimo, infatti, non era produttore, ma nemmeno importatore della colla (la acquistava da un’azienda italiana), non era rappresentante esclusivo ma semplicemente cliente e, infine, non era utilizzatore finale. Secondo la Cassazione, rientrava a pieno titolo nella definizione di distributore, ossia colui che immagazzina il prodotto e lo commercializza.
“Smontata” anche la tesi accusatoria dell’omesso controllo da parte del distributore sul prodotto venduto, che avrebbe ipotizzato profili di culpa “in vigilando”: il distributore, infatti, ha potuto dimostrare di averlo acquistato da un’azienda leader di mercato, dunque, almeno nel percepito comune, di comprovata affidabilità. Quanto alla quantità vietata, poi, non poteva sospettarsi né agevolmente verificarsi l’effettivo superamento dei limiti di legge, anche alla luce di quanto riportato sulle schede tecniche, regolarmente consultate dal distributore stesso.