Pausa dal lavoro, attenzione. Per l’Europa non può considerarsi vero riposo se il lavoratore può essere richiamato in servizio. A pronunciarsi in questo senso è stata nientemeno che la Corte di Giustizia Europea, X sezione, che nella sentenza sulla causa C‑107/19 del 9 settembre scorso ha affrontato il caso di un vigile del fuoco ceco (ma la situazione è frequentissima anche nel settore pulizie/ multiservizi/ servizi integrati), dando infine ragione alle istanze del dipendente.
Nella fattispecie il dipendente aveva diritto a 30 minuti di pausa ogni 6 ore. Un periodo in cui, tuttavia, poteva essere richiamato d’urgenza tramite un dispositivo ricevitore che era tenuto ad indossare. Ora, tali periodi venivano conteggiati come lavorativi solo se effettivamente interrotti da un intervento, mentre in caso contrario no. Il lavoratore ha contestato questo metodo di calcolo della sua retribuzione, considerando che le pause, pur se ininterrotte, costituissero tempo di lavoro, quindi soggetto a regolare retribuzione.
Ebbene, sul punto la Corte è stata molto chiara, a partire dal quadro definitorio e dall’articolo 2 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9): da un lato ci sono i periodi di “riposo”, che per loro stessa natura non devono poter essere interrotti dal datore; dall’altro quelli di “guardia” (che con una certa approssimazione potremmo in qualche modo equiparare a una “reperibilità”), che non debbono rientrare nella nozione di riposo, bensì nel perimetro dell’orario di lavoro, in quanto resta evidente che il lavoratore è a disposizione dell’azienda. Non rileva il fatto che possa anche non essere chiamato, perché ciò che fa fede è la possibilità che questo avvenga. Infatti le condizioni di “pausa” sono di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà per il lavoratore di gestire liberamente il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare tale tempo ai propri interessi. Perciò la Corte ha accolto le richieste del lavoratore condannando il datore a rifondere le cifre indebitamente trattenute (e “scavalcando” il diritto nazionale).
Attenzione dunque a concedere pause “reali” e non “fittizie” o comunque soggette a improvvise interruzioni, perché il pronunciamento in oggetto costituisce un importante e chiarissimo precedente.