In questi ultimi tempi si sta creando una sorta di “mainstream” giuslavoristico, con tematiche ricorrenti che stanno facendo molto discutere gli addetti ai lavori.
Uno dei recenti motivi del contendere, approdato spessissimo in sede giudiziale, è il cosiddetto obbligo di “repechage”, letteralmente “ripescaggio” o, più appropriatamente, tentativo di reinserimento nel contesto lavorativo. E’ strettamente connesso al licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, ai sensi dell’art. 3 della legge 604/66, è rappresentato dal recesso dovuto a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Si tratta in poche parole del dovere, in capo datore di lavoro, di esperire tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi: qui infatti si apre un mondo fatto di interpretazioni, letture a volte contrastanti e controverse, punti di vista e pronunce giurisprudenziali. Fra le ultime in ordine di tempo c’è la recente Ordinanza della Corte di Cassazione n. 31561 del 13 novembre 2023.
Siamo di fronte a un caso di recesso intervenuto a seguito di soppressione della posizione lavorativa: un caso piuttosto frequente nella quotidianità delle imprese di pulizie/ servizi integrati/ multiservizi, spesso alle prese con commesse eterogenee . Senonché, a seguito dell’istruttoria, è emerso che il datore di lavoro aveva assunto altre figure professionali inquadrandole al medesimo livello contrattuale della lavoratrice licenziata.
Ma l’aspetto interessante arriva qui: a fronte della difesa datoriale, in cui si rilevava che, in effetti, non erano state effettuate assunzioni a coprire le specifiche mansioni dell’addetta licenziata, i giudici rimarcano che il rispetto dell’obbligo di repêchage comporta una valutazione delle capacità specifiche del lavoratore licenziato. Seppure i nuovi inserimenti coprivano profili diversi, infatti, non è escluso che il lavoratore licenziato potesse anch’egli rivestire tali mansioni: un’eventualità che il datore avrebbe pur dovuto prendere in considerazione.
Si legge infatti: “La verifica in ordine alla incapacità professionale del licenziato di svolgere le mansioni, anche inferiori, alle quali sono stati destinati i neoassunti deve essere effettuata non in astratto ma in concreto, sulla base di circostanze oggettivamente riscontrabili allegate dal datore ed avuto riguardo alla specifica condizione ed alla intera storia professionale di un ben individuato lavoratore”.
Il principio affermato dagli Ermellini, dunque, e che non mancherà di alimentare ulteriori dibattiti, è che per ritenere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è sufficiente in sé la soppressione del posto di lavoro se nel frattempo sono stati assunti nuovi dipendenti pure con profili diversi. Vanno infatti prima valutate le effettive capacità del lavoratore, la sua vicenda professionale nel complesso e la sua potenziale adeguatezza ad altri profili equipollenti. Attenzione dunque a ogni tipo di “leggerezza” in merito.