Lo scorso 3 marzo il Governo ha dato il via libera al decreto legislativo di riforma del Codice degli appalti, che adesso ha davanti a sé un percorso a “tappe forzate” che si dovrà concludere entro il 18 aprile (come vuole l’Europa). Il testo ora passerà a Consiglio di Stato, Conferenza Stato-Regioni e alle commissioni parlamentari competenti, e una volta entrato in vigore abrogherà il precedente Codice degli appalti, il tanto discusso 163/2006.
Linee-guida per ogni settore – I presupposti sono positivi: innanzitutto sarà superata la tradizionale “curvatura” delle disposizioni normative sui “lavori”: sembra infatti destinata a non ripetersi la situazione del 2006, quando ci vollero altri 4 anni per avere un Regolamento attuativo (il Dpr 207/10). Questo perché non ci sarà più, a quanto pare, un regolamento unico, ma una serie di linee guida generali (a cui a quanto pare l’Anac sta già lavorando) che serviranno da “cappello” a ulteriori linee dedicate a ciascun settore. I servizi, dunque, avranno le loro linee-guida dedicate. C’è quindi da sperare che non si verifichi il solito sbilanciamento normativo che penalizza il settore dei servizi.
Snellimento sì o no?– Fra le altre importanti novità c’è lo snellimento normativo: si passa dagli oltre 600 articoli dell’attuale codice ai 217 del nuovo testo. A questo proposito, vedremo più nel dettaglio come saranno strutturati i nuovi articoli: la semplificazione, infatti, in sé e per sé può essere positiva o negativa, perché se da un lato snellisce le procedure, dall’altro rischia di lasciare più spazio all’interpretazione. Se però si considera che verranno emesse linee guida declinate nei vari settori, ciò sembra almeno in parte scongiurato. Ma alla luce di questo, si tratterà poi di una vera semplificazione?
Massimo ribasso addio– Va inoltre in pensione il massimo ribasso, anche se bisognerà attendere poi i dettagli applicativi (aleggia sempre lo spettro del famigerato “allegato P”, che riportava tutto com’era). E’ comunque di buon auspicio l’affermazione, estesa a tutti i settori, del principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con pochissime eccezioni.
Arriva il “SuperCantone”! Restano confermati i “superpoteri dell’Anac”, il cui presidente Cantone ha parlato di una “rivoluzione copernicana” nel campo degli appalti pubblici. Anche gli stessi commissari di gara dovranno “passare dall’Anac”, che terrà un apposito elenco da cui si estrarrà per sorteggio la composizione delle commissioni. Anche in questo caso si tratta di una procedura fortemente dibattuta, soprattutto per la sua effettiva realizzabilità. Come già detto, inoltre, all’Anac spetta il compito di redigere le linee guida generali di cui parlavamo sopra. Non solo, i compiti di vigilanza dell’Autorità sono accentuati e si estendono anche alle stesse stazioni appaltanti.
Stazioni appaltanti: sempre più “aggregate”– Sul versante delle stazioni appaltanti pubbliche, inoltre, prosegue l’iter di aggregazione degli acquisti Pa: il nuovo codice fissa le soglie al di sopra delle quali i soggetti appaltanti non potranno fare gare autonome, ma dovranno rivolgersi ad enti aggregatori, cioè a centrali di committenza accorpate. Per i servizi si tratta di 40 mila euro su base annua, una soglia piuttosto bassa. Un impianto che va nella stessa direzione del Dpcm del 9 febbraio scorso, che fissa i 19 beni e servizi e le relative soglie sopra le quali rivolgersi ai 35 soggetti aggregatori approvati ancora una volta dall’Anac.
Subappalto: una terna di “papabili indicati dal committente”– Sul subappalto (la cosa ha già iniziato a far discutere) viene cancellata la soglia del 30% attualmente in vigore. Ma non è l’unica novità. Secondo indicazioni provenienti dall’Europa, arriva il principio dei “tre papabili”: in pratica per gli appalti sopra soglia il contraente è tenuto ad indicare una terna di subappaltatori, ma soltanto se ciò viene espresso esplicitamente dal bando. Per quanto riguarda l’’avvalimento, in capo alla stazione appaltante resterà il compito di verificare se i soggetti a cui si affida l’operatore economico soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione, con la possibilità di sostituire il soggetto ritenuto inidoneo.
Le criticità del testo
Il testo, però, ha luci ed ombre, come sottolineato dagli specialisti di Patrimoni Pa.net, il laboratorio di ForumPA e Terotec coordinato dal professor Silvano Curcio: innanzitutto l’attuale formulazione dell’art. 95 in materia di criteri di affidamento è estremamente insidiosa, considerando che di fatto lascia alle stazioni appaltanti piena libertà di aggiudicare anche gli appalti per cui sarebbe obbligatorio il rapporto qualità/prezzo, basandosi esclusivamente su elementi di carattere economico, senza peraltro doverne fornire alcuna motivazione. Ciò evidentemente stravolge il criterio di delega e rischia di vanificare l’istanza più cruciale emersa dalle richieste delle associazioni del settore. Bene dunque la volontà di preferire il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo nelle aggiudicazioni, in particolare per i servizi labour intensive, ma attenzione a come l’art. 95 dello schema di decreto è stato in concreto formulato: il rischio – se non la certezza – dell’elusione della voluntas legis è altissimo. C’è bisogno di maggiore chiarezza e coerenza nelle norme per evitare che la considerazione per la qualità dell’offerta resti solo lettera morta.
Uno degli altri aspetti critici è poi quello della programmazione e progettazione dei servizi. Bene l’obbligatorietà per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di adottare il programma biennale degli acquisti di beni e servizi introdotta dall’art. 21 ma sulla progettazione dei servizi la normativa è ancora troppo lacunosa e superficiale.
Infine, il tema delle clausole sociali del bando di gara e degli avvisi “volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato” (art. 50). “Bene l’attenzione per il comparto dei servizi e, in particolare, per quelli ad alto impatto di manodopera ma l’art. 50 dello schema di decreto legislativo non è chiaro in ordine alla previsione delle clausole sociali e neppure la lettura della relazione illustrativa è sufficiente a sciogliere i dubbi interpretativi.