HomeNewsletterMobbing, legittimo trasferire il dipendente che fa causa al datore di lavoro

Mobbing, legittimo trasferire il dipendente che fa causa al datore di lavoro

Quello dell’ “incompatibilità ambientale” è un istituto spesso poco considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ma che merita un attento approfondimento soprattutto in riferimento ai settori “labour intensive” come quello delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati, in cui spesso, fra l’altro, il lavoro è distribuito su una pluralità di luoghi fisici (i cd. “cantieri”) anche piuttosto distanti fra di loro.

Il fatto

Ma veniamo ai fatti affrontati dal Tribunale di Milano, che hanno condotto alla sentenza n. 581 del 10 febbraio scorso, senza dubbio destinata a “fare scuola” e, con ogni probabilità, ad essere ripresa in esame in successivi gradi di giudizio. Si parla di una dipendente che ha promosso una causa di lavoro contro il datore per mobbing e straining, lamentando un peggioramento dello stato di salute per le vessazioni che ha dedotto di aver subito.

Rapporti polemici e conflittuali

Evidentemente, come spesso accade anche nel nostro settore, i rapporti fra la dipendente (in situazione di parziale invalidità) e i colleghi/ superiori si era resa assai conflittuale: questi ultimi -si legge in sentenza- si erano a loro volta lamentati dell’ambiente stressogeno che la lavoratrice aveva creato a lavoro in forza di un atteggiamento accusatorio e polemico che comportava grandi difficoltà nello svolgimento della normale attività lavorativa.

La causa promossa dalla dipendente

Il risultato è che la dipendente promuoveva contro i datori una causa per mobbing-straining, anche a seguito di quello che a suo dire avrebbe rappresentato un demansionamento. Per tutta risposta, l’azienda trasferiva la dipendente ad altra sede sul presupposto dell’ “incompatibilità ambientale”, con un’argomentazione che si può sintetizzare come segue: visto che la dipendente lamenta un peggioramento delle proprie condizioni nella sede di originaria assegnazione, tanto addirittura da aver adito le vie legali, a tutela della sua salute e serenità si provvede a trasferirla in altra sede. In tale scenario, insomma, il mutamento della sede di lavoro costituisce una misura organizzativa necessaria per proteggere la salute della lavoratrice e salvaguardare, al contempo, il buon funzionamento dell’ufficio e l’integrità dei colleghi. Mutamento di sede che evidentemente, secondo la dipendente, andava annullato in quanto a suo parere “ritorsivo”.

Le motivazioni datoriali (accolte dal tribunale)

Proprio questo è il fatto -collaterale rispetto alla causa per mobbing- affrontato dal Tribunale milanese, che ha di fatto sposato in toto la tesi dell’azienda datrice: se infatti il lavoratore deduce di subire azioni vessatorie che ne minano l’integrità psico-fisica e agisce in giudizio per la loro rimozione, il datore può disporne legittimamente lo spostamento ad altra sede per l’incompatibilità ambientale che emerge dalle “gravissime accuse mosse nei confronti dei propri superiori” e per garantire l’integrità della dipendente (ex art. 2087 cc, secondo cui “l’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro”).

Mutamento tutelante, non ritorsivo

Il mutamento di sede, dunque, non è il riflesso di una iniziativa ritorsiva, ma la misura organizzativa che il datore ha dovuto mettere in atto per eliminare gli effetti derivanti dalla incompatibilità registrata nell’ambiente di lavoro, a prescindere dalle accuse di mobbing e straining avanzate dalla dipendente e peraltro poi respinte.

Link sentenza 581/25 Trib. Milano

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