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Mancati versamenti

Se non c’è dolo non si configura il reato tributario. Così la Cassazione ha assolto un’imprenditrice in crisi che aveva optato per pagare gli stipendi ai dipendenti. Per gli Ermellini (sentenza n. 6737 del 12 febbraio scorso) occorre sempre accertare il dolo ai fini della condanna. Una boccata d’ossigeno per molte imprese in crisi.

A volte capita (negli ultimi anni sempre più spesso, ahinoi) che un’impresa, trovandosi in difficoltà magari provocate da ritardi di pagamento da parte della Pa committente, sia costretta a privilegiare il pagamento degli stipendi ai dipendenti piuttosto che quello delle imposte. Ovviamente non si dovrebbe fare, e le tasse vanno sempre pagate. Ma a volte la realtà è molto meno semplice della teoria, e spesso le cose si possono fare molto difficili. Ebbene, ogni tanto qualche buona notizia per le imprese arriva anche dal fronte dei tributi.  Quando poi a darla è la Corte di Cassazione, allora c’è da stare ancora più sereni. La Suprema Corte, infatti, con la sentenza n. 6737 del 12 febbraio 2018, ha cambiato orientamento nei confronti delle imprese che, trovandosi in una condizione di difficoltà, preferiscono dapprima pagare le retribuzioni ai propri dipendenti.

Il caso riguarda un’imprenditrice condannata in primo grado a 1 anno e 6 mesi di reclusione per omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10 bis del dlgs. n. 74/2000). Subentrata al vertice di un’impresa colpita dalla crisi negli anni più duri (2009 e seguenti), aveva scelto di pagare gli stipendi ai dipendenti anziché le ritenute. Ora: così facendo, secondo l’Appello, aveva implicitamente ammesso di non trovarsi in una condizione di assoluta impossibilità di adempiere al debito d’imposta. Una situazione che per i giudici di secondo grado era sufficiente a configurare il dolo, e quindi l’imputabilità della donna, anche se la crisi non era imputabile al suo operato e, anzi, lei aveva anche proposto istanza di concordato preventivo per l’Iva.

Secondo l’imprenditrice appellante, dunque, non poteva configurarsi la presenza dell’elemento soggettivo necessario a integrare la fattispecie. La sua decisione era stata dettata dallo stato di crisi in cui aveva trovato la società; del resto, i lavoratori dipendenti sono anch’essi tutelati dalla Costituzione. Un’argomentazione accolta infine dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha messo in evidenza che la ricorrente si era vista “sinceramente obbligata” a preferire il pagamento dei dipendenti. Non c’è stato dolo dunque, per gli Ermellini: infatti il fatto di affermare di essere stati obbligati a fare una scelta non equivale ad ammettere di avere scelto di non fare una cosa diversa, poiché non c’è scelta, ma un semplice adempimento di un dovere. Secondo la Cassazione, dunque, l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo deve sempre essere necessariamente accertato ai fini della condanna. Una notizia che potrebbe regalare una boccata di ossigeno a molte imprese in difficoltà (e ai loro dipendenti).

Sentenza cassazione 6737_18

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