Può essere valido ma i rischi sono dietro l’angolo. La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 29753 del 12 dicembre 2017, ha convalidato un recesso via posta elettronica. Possibili però contestazioni sulla firma e l’effettiva provenienza. Meglio dunque agire in modo più “tradizionale”
Nell’era del digitale, nulla di più facile che anche il licenziamento venga comminato per posta elettronica. Capita sempre più spesso, specie nelle realtà ad alta intensità di manodopera come le imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati. Ora, anche il licenziamento trasmesso tramite e-mail è valido, ha stabilito la Cassazione con la sentenza 29753 del 12 dicembre 2017, perché integra la forma scritta prevista dalla legge 604 del 1966, anche se non arriva da una Pec e non ha la firma digitale. Infatti “il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità.” Dunque recesso legittimo e ricorso del lavoratore rigettato.
Però… c’è sempre un però: negli ultimi anni molti giudici di merito, dal Tribunale di Roma (sentenza 20/12/2013) a quello di Catania (27/6/17, che addirittura riguarda un recesso via whatsapp), passando per la Corte d’appello di Firenze (629 del 5/7/16) hanno messo in dubbio la legittimazione dei soggetti presunti autori di licenziamenti estranei al circuito Pec e soprattutto privi di firma digitale. Come si può in assenza di prove certe risalire all’effettivo mittente, e capire se costui era davvero legittimato a licenziare? Dubbi che forse saranno chiariti da successivi pronunciamenti. Nell’attesa, molto meglio ricorrere ai sistemi più tradizionali!