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Licenziamento, quando guariti tornare al lavoro

Esisteranno pure le “guarigioni miracolose”, ma non ci sembra proprio questo il caso. Anzi. Nella vicenda presa in esame dalla sentenza n. 3630 del 10 febbraio 2017 della Corte di Cassazione, un dipendente delle Poste, messosi in malattia per un infortunio alla caviglia occorsogli, è stato “pescato” a lavorare nell’ azienda di famiglia, perfettamente rimessosi e in grado di svolgere addirittura mansioni pesanti come scaricare pesi. A riprenderlo, un investigatore privato: la società datrice aveva dunque attivato la procedura di licenziamento, impugnata dal ricorrente.

Già la Corte d’Appello, riformando il tribunale di primo grado che aveva invalidato il recesso, premessa la legittimità dell’impiego di agenzie investigative per verificare il comportamento dei lavoratori assenti per malattia, osservava che era emerso che il lavoratore, pure affetto da malattia traumatica, in quei giorni era pressoché guarito ed idoneo alla prestazione lavorativa. Che, pertanto, doveva ritenersi che il predetto avesse posto in essere un comportamento (…) in contrasto con i doveri di cui all’art. 2104 cc. e del codice etico. Rilevava che si trattava di comportamento grave che, incidendo sul dovere fondamentale del dipendente di rendere la prestazione di lavoro, era idoneo a ledere il vincolo fiduciario. Licenziamento confermato, dunque, perché parte da un principio valido.

Interessante anche quanto viene risposto al lavoratore che denuncia come contrastante con lo Statuto dei Lavoratori il ricorrere, da parte datoriale, a controlli occulti: “Con il primo motivo il ricorrente deduce: violazione dell’art. 7 legge 300/70. Osserva che alla luce della giurisprudenza di legittimità i controlli occulti non sarebbero consentiti ai fini della verifica dell’esatto adempimento della prestazione, ma solo in relazione alla commissione da parte del lavoratore di un fatto illecito a danno del patrimonio aziendale.” Per la Cassazione “La censura è infondata. Infatti … deve essere ribadito in questa sede l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale “Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative – purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria”. E ancora: “Le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n.300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza.” Quindi tutto regolare anche sotto questo aspetto.”

Ora, nonostante il caso in esame sia estraneo al nostro settore, è innegabile che uno dei gravi problemi del comparto Pulizie/ servizi integrati/multiservizi sia proprio quello dell’assenteismo (e microassenteismo) e l’abuso della malattia. Sappiamo anche che, purtroppo, capita di frequente che un lavoratore assente per malattia venga poi sorpreso a svolgere un secondo lavoro per arrotondare la paga. Che fare in questi casi? La sentenza che abbiamo commentato potrebbe rivelarsi un importante precedente, visto che in passato la giurisprudenza si era espressa prevalentemente in senso opposto.

Cassazione Sentenza 3630/17

 

 

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