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Licenziamento per superato comporto, attenti alle prove

Quando le assenze del lavoratore superano il periodo di comporto, come è noto, può scattare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Fin qui, tutto pacifico. Tuttavia le cose possono non andare in modo tanto semplice, perché l’onere probatorio ricade sul datore di lavoro, al quale dunque spetta l’incombenza di dimostrare la riconducibilità a malattie di tutte le assenze indicate nella lettera di licenziamento.

Molto interessante, a tale proposito, si rivela la recentissima sentenza n. 1634/2018 della Corte di Cassazione, datata al 23 gennaio scorso. In questo caso, confermando la decisione dell’Appello, la Suprema corte ha condannato un’azienda al reintegro di un lavoratore licenziato sulla base delle sole buste paga riportanti il numero di giorni di assenza. Tuttavia, sentenziano gli Ermellini, le sole buste paga che riportano il numero complessivo dei giorni di assenza per malattia non sono sufficienti a costituire prova idonea del superamento del periodo di comporto posto alla base di un licenziamento.

In mancanza dei certificati medici relativi ai giorni di assenza, le buste paga consegnate al dipendente, poiché costituiscono documento che proviene dal datore di lavoro, non sono sufficienti ad avvalorare la circostanza che sia stato effettivamente superato il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in presenza di uno stato morboso. Insomma, i cedolini-paga, essendo un documento unilaterale di parte datoriale, non bastano a costituire prova efficacia se non rafforzati dai certificati medici.

Sentenza 1634-18

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