Contributo Aspi sui cambi d’appalto, ci siamo quasi: fino a tutto l’anno in corso non si pagherà, ma se non interverrà nessun adeguamento legislativo, il 31 dicembre 2015 saranno dolori. Con quest’anno si chiude infatti il periodo 2013-2015, per cui la legge Fornero (92/2012), all’art. 2 comma 34 prevede l’esenzione dal versamento dell’Aspi nei casi di licenziamento effettuato in conseguenza di cambi d’appalto. Un’istanza congiunta di modifica legislativa firmata il 27 giugno da AGCI Servizi, Confcooperative, Lega Coop Servizi, FISE ANIP, Unionservizi CONFAPI, CGIL, FISASCAT e UIL Trasporti riporta alla ribalta un tema che, nella bagarre delle riforme, rischiava di passare sotto silenzio.
Ricordiamo che l’Aspi (acronimo che sta per Assicurazione Sociale per l’Impiego) è una “tassa di licenziamento” istituita dall’art.2 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Legge Fornero) che il datore deve pagare, dallo scorso anno, quando licenzia un dipendente. Il contributo Aspi è obbligatorio in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Con le nuove regole del Jobs Act (183/2014), l’Aspi è stata sostituita dalla Naspi con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015. Con la Naspi, oltre alla platea dei beneficiari (che si allarga), cambiano soprattutto le modalità di calcolo. A differenza della vecchia Aspi, calcolata sul 75% dell’ultima retribuzione fino a un massimo, nel 2014, di 1165,58 euro, la Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile degli ultimi quattro anni utili, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33. Rispetto alla vecchia Aspi, cambiano anche durata, riduzioni e aspetto contributivo, ma la sostanza resta la stessa: si tratta di un contributo addizionale che l’azienda che licenzia un dipendente assunto a tempo indeterminato è tenuta a versare, e che può costare caro. Un contributo assurdo in caso di cambio d’appalto, perché di fatto il lavoratore non perde mai il lavoro, ma viene riassorbito per contratto (il famoso articolo 4) nel personale dell’azienda subentrante. Un principio raccolto dalla Legge Fornero, ma con un limite cronologico che adesso appare molto vicino (e preoccupante).
Ne parlammo già nella newsletter del 23 luglio 2014, esattamente un anno fa, ma ora che il 31 dicembre si sta avvicinando dobbiamo constatare che nulla è stato fatto. Una situazione vista con grande preoccupazione anche dal mondo delle imprese, con le associazioni firmatarie del CCNL e i sindacati di categoria che lo scorso 27 giugno, nell’ambito di un incontro di trattativa per il rinnovo del CCNL stesso, hanno sottoscritto una nota informativa (che riportiamo integralmente) con la quale intendono porre l’attenzione sulla necessità di una modifica legislativa alla legge 92/12, art. 2 comma 34, che recita:
“Per il periodo 2013-2015, il contributo di cui al comma 31 non è dovuto nei seguenti casi: a) licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;”
Ora, rilevano imprese e sindacati: “La ratio della norma si ravvisa nel fatto che i lavoratori che cessano il rapporto di lavoro e contestualmente sono riassunti per effetto di cambio appalto, anche in attuazione di clausole sociali, non sono percettori di indennità di disoccupazione perché immediatamente rioccupati: si evidenzia quindi l’assenza del presupposto stabilito dalla legge 92 per il pagamento del contributo di licenziamento, cosa peraltro ribadita all’interno della stessa legge Fornero, all’art. 2 comma 31, ove si dice che il contribuito di licenziamento spetta “nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’Aspi”, risultando evidente che i lavoratori coinvolto in un cambio appalto risultano di fatto occupati in maniera continuativa, quindi non ha senso che fruiscano della prestazione dell’Aspi.
Del resto, che questi lavoratori non restino davvero disoccupati ne ha già preso atto, in aprile, anche il Ministero del Lavoro, che con Interpello n. 12/2015, sembra prendere una posizione conciliante nei confronti delle imprese, rilevando che il principio della disposizione di legge (92/12, art. 2, comma 31) “vale ad esonerare i datori di lavoro dal pagamento del contributo addizionale Aspi –oggi Naspi, cioè Nuova Aspi- per l’estinzione dei rapporti di lavoro cui non consegue uno stato di disoccupazione in ragione della contestuale riassunzione del personale da parte dell’impresa subentrante”. C’è da dire, tuttavia, che la risposta ad un Interpello ha valore di parere ministeriale, per quanto autorevole, ma non ha certo valore di legge, e che sulla legge di riferimento, che resta la 92/12, continua a campeggiare la dicitura “Per il periodo 2013-2015”. Non resta che aspettare che, come suggeriscono sindacati e imprese del settore, venga rimossa dal testo di legge la frase “Per il periodo 2013-2015”. Sperando che lo si faccia entro fine anno. In chiusura registriamo che, ad oggi, tutto tace.