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Licenziamento per accuse a sfondo sessuale, sì della Cassazione

Con l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, che a sua volta aveva riformato la sentenza di primo grado, dichiarando legittimo il licenziamento di un lavoratore per aver rivolto a una collega frasi a sfondo sessuale.

I motivi del licenziamento

Il fatto è purtroppo piuttosto ricorrente anche nel settore pulizie/multiservizi/ servizi integrati: un lavoratore in attesa di prendere servizio, vedendo una collega anch’essa in attesa entrare in servizio e sapendo che era incinta, le si era rivolto in tono di scherno, fingendosi stupito che “una lesbica” fosse incinta e chiedendole come avesse fatto. Il tutto mentre ambedue erano in divisa e in presenza di alcuni utenti. Si parla di espressioni del tipo: “Ma perché sei incinta pure tu”, “ma perché non sei lesbica tu”, “e come sei uscita incinta”, già oggetto di provvedimenti disciplinari. La sanzione era stata confermata dal Giudice di primo grado, mentre la Corte d’Appello, ritenendo sproporzionata la destituzione dal servizio decisa dall’azienda, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro alla data del recesso, condannando il datore di lavoro al pagamento di un importo pari a 24 mensilità di retribuzione.

La Cassazione conferma il provvedimento espulsivo

La Cassazione tuttavia si dimostra più rigida: dopo avere, con l’ordinanza n. 7029 del 2023, cassato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva qualificato il comportamento del dipendente come “meramente inurbano” e non costituente offesa o molestia a sfondo sessuale tale da giustificare la risoluzione del rapporto, successivamente (e siamo a questi giorni), con la citata ordinanza del 10 marzo 2025 n. 6345, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa.

Gli obblighi datoriali

La sentenza rappresenta lo spunto per ricordare che, in caso di violazione dei principi in materia di molestie sessuali sul luogo di lavoro, le conseguenze per i datori possono essere piuttosto serie. Attenzione, dunque: l’obbligo di adottare adeguate misure di prevenzione contro le molestie sessuali rientra a pieno titolo nel c.d. “debito di sicurezza” previsto dal combinato disposto degli artt. 2087 c.c. e 26, comma 3-ter, D. Lgs. n. 198/2006: i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.

Le tutele dell’ordinamento

Si tratta di un pronunciamento che si inserisce in un più ampio percorso di valorizzazione della tutela della dignità e dell’uguaglianza di genere nei luoghi di lavoro. Infatti secondo la Corte di Cassazione il comportamento in parola deve essere valutato alla luce del contesto lavorativo in cui si è verificato: un ambiente in cui ogni dipendente ha il dovere di rispettare la dignità altrui, in particolare quella dei colleghi. In questo scenario, l’ordinamento giuridico tutela il pieno rispetto di qualsiasi scelta di orientamento sessuale, in quanto aspetto che rientra nella sfera personale e riservata di ciascun individuo.

Link Ordinanza Cassazione 6345/25

Link Ordinanza Cassazione 7029/23

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