La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 460 del 9 gennaio 2025, ha affrontato una fattispecie di grande interesse anche per le imprese di pulizia, servizi integrati e multiservizi.
Il caso
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte una dirigente appartenente ad una categoria protetta in quanto gravemente disabile si era vista comminare un licenziamento per accertata riorganizzazione aziendale e la soppressione della sua posizione. Si tratta di un tema di grande interesse perché pone a raffronto importanti diritti variamente tutelati e non sempre semplici da far coesistere: da un lato quello del datore a fare fronte a difficoltà economiche anche attraverso lo “snellimento” organizzativo, dall’altro quello del dipendente disabile a conservare il proprio lavoro.
L’errore? Non valutare la possibile discriminazione
In pratica, si può parlare di licenziamento “discriminatorio”? Nonostante la soccombenza nei gradi di merito, la dipendente si rivolge al giudice di legittimità, trovando infine ragione. Gli Ermellini hanno infatti ravvisato come i giudici di merito, nel pretermettere ogni indagine sulla discriminazione lamentata dalla ricorrente a fronte dell’esistenza di una ragione di natura organizzativa posta alla base licenziamento, abbiano sostenuto una tesi in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale.
Il licenziamento economico non esclude la discriminazione
In buona sostanza nei primi due gradi di giudizio la valutazione del caso si sarebbe concentrata esclusivamente sulle regioni economiche, tralasciando l’aspetto potenzialmente discriminatorio del recesso. Al contrario la Cassazione afferma che non è escluso a priori che il licenziamento assistito da un’accertata e genuina motivazione economico-organizzativa possa essere, al contempo, direttamente o indirettamente discriminatorio (facendo qui riferimento al dibattuto principio delle “discriminazione indiretta, che consiste nell’applicare “acriticanmente” disposizioni, criteri o procedure sono apparentemente neutri, ma di fatto sfavorevoli per un determinato gruppo di persone).
La nozione di “dicriminazione indiretta”
Dall’art. 2 lett. a) del D.Lgs. n. 216/2003 si ricava la nozione di discriminazione diretta che, ai fini che qui rilevano, deve ritenersi esistente quando in ragione dell’handicap una persona è stata trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga; mentre secondo l’art.2 lett. b) la discriminazione è indiretta se il licenziamento, apparentemente neutrale, abbia messo la persona disabile in una situazione di particolare svantaggio rispetto alle altre persone.
Recesso nullo!
Attenzione, dunque. Non basta, dunque, il mero accertamento dell’elemento forte del motivo organizzativo accertato nel giudizio: in casi come questo spetta al datore provare la natura non discriminatoria del licenziamento, cosa che non è stata fatta. Di qui il rinvio alla Corte di appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo applicazione di quanto specificato con riferimento al licenziamento discriminatorio ed alla sua nullità.