HomeNewsletterLicenziamento disciplinare: tutele crescenti, attenzione alla lettera di contestazione

Licenziamento disciplinare: tutele crescenti, attenzione alla lettera di contestazione

Torniamo a parlare di licenziamenti disciplinari, per sottolineare quello che è cambiato e mettere in guardia le imprese nella compilazione della lettera di contestazione. Come è noto, il Jobs Act (in particolare il suo attuativo Dl 23 del 4 marzo 2015, sulle “tutele crescenti”), riduce drasticamente la discrezionalità dei giudici in caso di impugnazione del licenziamento. Se prima questi ultimi potevano arrivare a prevedere il reintegro in caso di “sproporzione” fra il provvedimento del licenziamento e il fatto commesso, ora è sufficiente, per il datore, poter dimostrare in giudizio che il fatto materiale contestato è realmente accaduto, indipendentemente dalla sua gravità. Per i neoassunti dal 7 marzo 2015 dunque, sarà possibile la reintegrazione solo per “giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”. Negli altri casi resterà solo la possibilità di un riconoscimento economico proporzionale all’anzianità di servizio del lavoratore stesso (le “tutele crescenti”, appunto).

Ciò detto, i datori dovranno porre molta attenzione alla stesura della lettera di contestazione del fatto addebitato, primo passo per aprire il procedimento disciplinare (art. 7 statuto dei lavoratori): visto il nuovo dettato della legge, infatti, essa dovrà limitarsi a riportare “fotograficamente” il fatto materiale contestato al lavoratore, senza espressioni valutative, deduzioni o interpretazioni dei fatti medesimi. Solo il fatto materiale, dunque, in modo circostanziato e preciso.  Appare anche sconsigliabile, come spesso succede, addebitare al lavoratore, nella lettera medesima, una pluralità di inadempimenti generici e poco dimostrabili, cosa che spesso i datori fanno per dare al giudice l’impressione di una condotta complessivamente inaffidabile e scorretta: meglio un fatto certo e dimostrabile in giudizio, tenuto conto del fatto che non ne verrà valutata la gravità, ma solo l’oggettiva e dimostrabile sussistenza. A questo punto sarà il dipendente a dover addurre al datore giustificazioni, prove o motivazioni per dimostrare l’insussistenza del fatto, e il datore -alla luce di queste ultime- potrà scegliere se proseguire o meno con l’iter di licenziamento.

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