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Licenziamento disciplinare, l’ultima parola è del giudice

Non bastano le tipizzazioni contenute nei Contratti collettivi per impedire in automatico il licenziamento di tipo disciplinare. Spetta sempre al giudice, infatti, l’ultima parola sull’effettiva gravità e proporzionalità della condotta del dipendente, con esiti che possono arrivare addirittura alla convalida del recesso, anche se questo non rientra fra le fattispecie previste dal CCNL. A stabilirlo, o meglio a ribadirlo (la decisione segue infatti una linea di orientamento ampiamente tracciata dalla Suprema Corte) è stata il 6 agosto scorso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16784/2020 emessa dalla Sezione Lavoro.

Nello specifico si parlava di quattro assenze ingiustificate a fronte delle cinque, nell’arco di un anno, previste dal contratto collettivo di categoria per arrivare alla risoluzione del rapporto di lavoro. Ma al di là della peculiarità del caso, il pronunciamento è importante per il principio che sancisce: La Cassazione, infatti, confermando il giudizio d’Appello, ha confermato il licenziamento, qualificato come “ben più grave” la condotta in esame rispetto a quella tipizzata dal contratto. Si parlava infatti di “quattro assenze in periodo bimestrale, al netto di condotte non contestate o punite con precedente sanzione conservativa”. Un comportamento valutato correttamente “rilevante, sia sul piano soggettivo, sia sul piano oggettivo, ai fini dell’apprezzamento della gravità dei fatti contestati”.

Per gli Ermellini, infatti, le tipizzazioni contrattuali non sono vincolanti per il giudice, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 cod. civ.” e che “con la predisposizione del codice disciplinare, l’autonomia collettiva individua il limite di tollerabilità e la soglia di gravità delle violazioni. A tale proposito il codice disciplinare è stato richiamato dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori “in funzione di monito per il lavoratore e di garanzia di prevedibilità della reazione datoriale”.

Link Sentenza 16784-2020

 

 

 

 

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