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Licenziamenti giusta causa: decide il giudice

La “giusta causa” del recesso è una nozione legale che esula dall’ambito di normazione appannaggio dei Contratti collettivi. A questa conclusione, in sostanza è giunta la Cassazione, che con l’Ordinanza n. 6606/2018 del 16 marzo scorso ha stabilito che spetta in ultima analisi al giudice valutare le singole fattispecie. In altre parole, il giudice non è vincolato ad attenersi alle fattispecie riportate sui Ccnl di categoria, che pertanto assumono un semplice valore esemplificativo.

Dando una scorsa al Ccnl “Multiservizi” del 2011, all’articolo 18 sono riportate, ma esplicitamente precedute dalla dicitura “A titolo indicativo”, tali fattispecie:

  1. a) insubordinazione ai superiori; b) sensibile danneggiamento colposo al materiale dell’azienda o del committente; c) rissa sul luogo di lavoro; d) abbandono del posto di lavoro da parte del personale a cui siano specificatamente affidate mansioni di sorveglianza, custodia, controllo; e) assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni consecutivi o assenze ripetute per tre volte in un anno nel giorno seguente alle festività o alle ferie; f) condanna ad una pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa, successivamente all’assunzione, non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, che leda la figura morale del lavoratore; g) recidiva nelle fattispecie indicate dall’art. 47 (su multe, sanzioni, sospensioni).

Tuttavia, apprendiamo dalla Cassazione, questo elenco non è vincolante per il giudice, il quale per la Suprema Corte ha sempre l’ultima parola: infatti l’elencazione delle giuste cause di recesso contenuta nel CCNL ha carattere esemplificativo: “La giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato”.

Link Ordinanza 6606_2018

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