Sul fronte dei licenziamenti, si sa, occorre procedere con molta cautela. Mettere in discussione posti di lavoro non è mai bello, ma purtroppo a volte le circostanze portano l’impresa a pur dolorose necessità riorganizzative. Se parliamo di licenziamenti collettivi, le norme in materia sono piuttosto chiare, anche se a volte le imprese si comportano con pericolosa superficialità. E così possono sorgere problemi anche seri.
Per richiamare solo uno degli ultimi casi degni di “fare scuola”: il Tribunale di Milano, con un’ordinanza emessa lo scorso 16 ottobre, ha dichiarato l’inammissibilità di 4 licenziamenti (attuati senza procedura collettiva) dopo che, in un primo momento, erano state inviate comunicazioni preventive a 6 lavoratori. Nel caso in esame, infatti, i licenziamenti erano stati alla fine solo quattro perché un dipendente aveva risolto il rapporto in via consensuale, mentre per un altro si era trovata una soluzione conservativa dell’impiego.
Questo però per il Tribunale milanese non significa nulla: il datore avrebbe comunque dovuto ricorrere alla procedura collettiva. Il giudice, infatti, ha stabilito che a “fare fede” non siano i licenziamenti effettivamente irrogati all’esito della procedura, ma l’intenzione iniziale del datore di lavoro. In questo caso, dunque, l’azienda, avendo intenzione di licenziare sei lavoratori nell’arco dei fatidici 120 giorni, avrebbe dovuto sin dall’inizio optare per la (più onerosa) procedura di licenziamento collettivo. Cosa che non ha fatto, rendendo impugnabili i procedimenti.
Ma andiamo con ordine: l’articolo 7 della legge 604/66, che fissa le norme sui licenziamenti individuali, prevede che debba essere attivata una procedura di conciliazione preventiva:
“Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato”.
Ora, qualora i licenziamenti siano più di 4 in 120 giorni, da parte di un’azienda con più di 15 dipendenti, si parla di “licenziamento collettivo”, previsto e normato dall’art. 24 della legge 223/91, che attua la direttiva comunitaria n. 75/129 del 17/2/1975. Si tratta di licenziamenti intimati per esigenze obiettive dell’impresa quando ricorrano i requisiti indicati dalla normativa. Infatti la disciplina dei licenziamenti collettivi è caratterizzata dalla dimensione occupazionale dell’impresa (più di 15 dipendenti), dal numero dei licenziamenti (che coinvolgono almeno 5 dipendenti), e dall’arco temporale, di regola, di 120 giorni entro cui cono effettuati i licenziamenti stessi.
Questo tipo di licenziamento è senza dubbio più oneroso per l’azienda: la procedura da seguire per i licenziamenti collettivi è quella prevista negli art. 4 e 5 L. 223/91 in materia di mobilità cui il citato articolo 24 rinvia. Tale procedura si articola in una fase sindacale e in una fase amministrativa tra loro collegate. La fase sindacale si apre con la preventiva comunicazione scritta (art.4 comma 2) alle rappresentanze sindacali e alle rispettive associazioni di categoria o, in mancanza, alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
In sostanza, si ha licenziamento collettivo quando:
– Sono coinvolte imprese che occupano più di 15 dipendenti. Tale requisito numerico deve essere calcolato non riferendosi al momento in cui viene attivata la procedura, bensì avendo riguardo al normale organigramma produttivo o, in mancanza, all’occupazione media dell’ultimo semestre (Min. Lavoro circ. n. 155/91). Nel computo rientrano anche i lavoratori assunti con contratti di formazione lavoro e gli apprendisti.
– Si effettuano almeno cinque licenziamenti nell’arco temporale dei centoventi giorni salvo che, ai sensi dell’art.8, comma 4, le parti abbiano convenuto di prolungare il termine in sede di consultazione sindacale. Tuttavia la procedura può concludersi con il licenziamento anche di una sola unità purché, al momento dell’avvio della procedura, il datore di lavoro abbia inteso procedere al licenziamento di almeno cinque unità.
– La ragione giustificativa del licenziamento collettivo è riconducibile ad esigenze di riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività aziendale.
Come ha sottolineato il Tribunale di Milano, la normativa è molto chiara nel dare rilievo all’intenzione del datore, espressa attraverso la preventiva comunicazione. A questo proposito, pur senza citarla esplicitamente, il giudice si è richiamato alla circolare n. 6 del 16 gennaio 2013, con cui il Ministero del Lavoro era già tornato sull’argomento (si riporta il testo in allegato, da leggere con attenzione da parte delle imprese). Nel caso in esame, fra l’altro, si è rilevata la totale omissione della procedura, ben più grave di una semplice violazione o irregolarità, perché incide sul provvedimento in modo sostanziale, e non puramente formale: per questo il giudice ha disposto non semplicemente la sanzione economica prevista dal comma 7 dell’articolo 18, ma il reintegro nel posto di lavoro.
Attenzione, quindi, alle superficialità in tema di licenziamenti; anche perché non è raro che le imprese, scoraggiate dalla lunga e macchinosa procedura per il licenziamento collettivo, che come abbiamo visto è piuttosto articolata, cerchino di “forzare” la norma o piegarla a interpretazioni più favorevoli.