Spesso, nei mesi scorsi, ci siamo soffermati ad analizzare le due nuove misure “antievasione” introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2015 (190/2014), che ha ampliato il “reverse charge” anche alle operazioni di pulizia, demolizione, installazione impianti e completamento relative ad edifici ed ha introdotto lo “split payment” nei rapporti con la pubblica amministrazione. In entrambi i casi, pur facendo le debite distinzioni (per l’analisi puntuale rimandiamo alle precedenti uscite), il prestatore di servizi non incassa l’Iva, poiché l’onere del versamento dell’imposta viene attribuito non al prestatore ma al committente. Ma adesso stanno emergendo, in tutta la loro chiarezza, le prime difficoltà interpretative. E allora è il caso di vedere da vicino quali effetti hanno le novità sull’Iva sulla vita delle imprese, in particolare di quelle artigiane. Lo facciamo con l’aiuto di Francesco Gennarielli, vicepresidente nazionale Unione CNA Servizi alla Comunità e portavoce per le imprese di pulizia.
Reverse charge, l’ambito di applicazione
Partiamo dall’ambito di applicazione del “reverse charge”. La legge è piuttosto vaga, la relazione tecnica e le tabelle Ateco non chiariscono quasi nulla. Insomma, che si può dire? “Sull’ambito di applicazione c’è molta confusione. Per limitarmi a un caso, se pulisco o vernicio una cancellata fuori da un edificio, devo considerarlo un servizio soggetto al reverse charge? Dalle tabelle attualmente non è chiaro. Questo però è un aspetto sul quale è intervenuta una circolare delle Entrate, quindi ci preoccupa un po’ meno di altre cose…” (il riferimento è alla circolare 14/E delle Entrate, nel frattempo uscita il 27 marzo e contenente i primi chiarimenti in merito: ne parliamo diffusamente in altro articolo di questa newsletter, ndR). Vale la pena di notare che, a quanto emerge dalle prime anticipazioni, l’imminente circolare dell’Agenzia delle Entrate potrebbe spostare la questione dell’ applicabilità del reverse charge dalla natura della prestazione all’identificazione del prestatore, di fatto assoggettando al reverse charge tutte le prestazioni di servizi svolte da un’impresa di pulizia. Se così fosse, ciò renderebbe impossibile per un’impresa prevedere un recupero dell’Iva a credito attraverso lo “spacchettamento” della fatturazione tra servizi soggetti e servizi non soggetti al reverse charge.
Reverse charge e split payment: la questione del credito d’Iva
Ma per questo staremo a vedere. Continuiamo a seguire Gennarielli: “L’aspetto senza dubbio più preoccupante è quello del recupero dell’Iva: sia il reverse charge che lo split payment pongono le imprese in una costante posizione di credito d’Iva. Questo perché eliminano l’onere del versamento dell’Iva su chi effettua la prestazione ma non pregiudicano il diritto di detrazione sull’Iva pagata ai propri fornitori sugli acquisti. In poche parole: tutta l’Iva a credito pagata ai fornitori non trova più la corrispondente Iva a debito correlata alle fatture emesse. Ciò per le imprese di pulizia artigiane può rivelarsi un problema, specie nel caso di grandi spese, come sostituzione parco mezzi, acquisti di veicoli o di macchine importanti”. Ci sono però appositi meccanismi per il recupero dell’Iva a credito… “Anche qui la cosa può essere piuttosto complicata, e dipende da vari fattori: ad esempio se l’ammontare del credito Iva maturato supera o meno i 15 mila euro (in quest’ultimo caso, stando alle indicazioni della circolare 6/E dell’Agenzia delle entrate del 19 febbraio scorso, i rimborsi devono essere erogati previa garanzia nel caso di imprese che esercitino da meno di due anni); o se il credito maturato può essere compensato nel modello di versamento F24, trovando capienza nei debiti tributari (IRPEF, IRES, Ritenute dei dipendenti, ecc.) o contributi (contributi previdenziali o assistenziali propri o dei propri dipendenti). Nel primo caso l’impresa, oltre a dover gestire una doppia o anche tripla emissione e contabilizzazione delle fatture, per utilizzare in compensazione il credito Iva maturato, è tenuta a pagare un professionista per il visto di conformità nella dichiarazione Iva e lo stesso se vuole ottenere il rimborso del credito. Quando invece il credito non trova capienza negli altri debiti fiscali nell’ambito della compensazione orizzontale nel modello F24, il problema sulla liquidità delle imprese diventa ancora più grave: l’unica soluzione è quella di richiedere il rimborso dell’Iva e attendere anche molto tempo per ottenere la restituzione delle somme, oltre al pagamento di un professionista per ottenere il visto di conformità sulla dichiarazione. In ogni caso, si tratta di oneri burocratici che si vanno ad aggiungere ad una situazione già di per sé non certo facile per le imprese artigiane. Per questo sono convinto che occorra liberare la compensazione dei crediti Iva generati a seguito dell’introduzione di queste misure dagli obblighi burocratici imposti, ossia dall’obbligo del visto di conformità della dichiarazione Iva per ottenere il rimborso o la compensazione. Anche perché riteniamo assurdo doverci sobbarcare oneri per ottenere ciò che già, di fatto, è un nostro diritto”.
Il caso dei consorzi
Prosegue Gennarielli: “Poi c’è un risvolto forse non immediato ma molto critico. Mi riferisco al caso dei consorzi. Come lei sa bene, spesso per partecipare a gare pubbliche l’unico modo che hanno le imprese artigiane è quello di consorziarsi, e lo fanno attraverso consorzi d’impresa che agiscono con mandato senza rappresentanza. In questo caso, però, tutta l’Iva pagata dal consorzio alle imprese consorziate per le prestazioni da queste eseguite in virtù del contratto consortile, non trova capienza nell’Iva a debito, dal momento che la fattura che emette il consorzio sarà senza Iva in virtù dell’applicazione del meccanismo del “reverse charge”. Stesso dicasi nelle ipotesi di “split payment” nelle quali il consorzio si pone come unico interlocutore dell’ente pubblico, trasferendo in toto l’esecuzione dell’opera alle imprese consorziate. In realtà, con riferimento alle prestazioni o cessioni fatte dal consorzio verso altre imprese che vedono l’applicazione del “reverse charge”, il problema per il consorzio non è concreto. In questi casi, infatti, l’applicazione del “reverse charge” viene trasferita anche alle prestazioni fatte dai consorziati al consorzio (cfr. Circolare Ag. Entr. 4 aprile 2007, n. 19). Tuttavia il problema della maturazione di crediti IVA si trasferisce alle imprese consorziate, sebbene in modo meno drammatico di quanto non accada nel consorzio, dal momento che il credito Iva si genera in ogni impresa con riferimento alle singole parti dell’intera prestazione commissionata al consorzio.
La stessa cosa è più difficile sostenerla con riferimento allo “split payment”. Questo, infatti, si rende applicabile non già con riferimento alla natura dell’operazione IVA effettuata, bensì con riferimento alla natura del soggetto che la riceve il quale, come già detto, deve essere un ente pubblico. Pertanto, quando il consorzio esegue una prestazione con un ente pubblico ed opera nel contratto consortile con mandato senza rappresentanza, si troverà a credito tutta l’Iva addebitata dalle imprese consorziate. Si tratta di importi molto rilevanti che potrebbero destabilizzare l’equilibrio economico dei consorzi d’imprese. In questi casi, l’unica possibilità per i consorzi di evitare queste pesanti conseguenze è una norma che estenda l’applicazione del “reverse charge” alle prestazioni fatte nei confronti dei consorzi conseguenti all’esecuzione di un appalto pubblico per cui si rende applicabile lo “split payment. In tal modo le singole imprese potrebbero avvalersi del reverse charge nei confronti del consorzio, il quale si relazionerebbe con l’ente pubblico attraverso il meccanismo dello “split”. Allo stato attuale, purtroppo, ciò non si può ancora fare. Infine, al di là dei dati tecnici, mi permetta di fare alcune considerazioni di carattere più generale: Come CNA stiamo facendo uno studio per valutare l’impatto di questi nuovi sistemi sulle imprese e, seppure sia ancora presto per tirare le somme perché l’indagine è appena partita, ci stiamo rendendo conto di come il solo adeguamento dei sistemi di fatturazione e, in generale, i soli adempimenti burocratici generino, nelle imprese artigiane, notevoli difficoltà. Io mi chiedo, però, perché mai in tutte le ultime novità legislative sia sempre rientrato il settore delle pulizie in senso perlopiù peggiorativo…”.