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Insulti omofobi sul lavoro

E’ destinata a fare scuola la recente Ordinanza 7029/23, con cui il 9 marzo scorso la Corte di Cassazione ha sancito la legittimità del recesso per giusta causa comminato a un dipendente reo di aver apostrofato un collega con battute di carattere omofobo. Il tutto, ovviamente, sul luogo di lavoro.

Il caso è molto interessante per le imprese di pulizie/ multiservizi/ servizi integrati, dove purtroppo capita di sentire di frequente questo genere di battute (per non parlare, ahinoi, di quelle a sfondo razziale e delle varie forme di body shaming). Attenzione però, perché una sola parola di troppo in questo senso può costare il posto di lavoro.

La Suprema Corte, sconfessando quanto dapprima disposto dalla Corte d’Appello di Bologna, ha infatti ritenuto sorretto da giusta causa il licenziamento di un lavoratore che, “in forma dialettale e con fare irrisorio si era rivolto nei confronti di una collega utilizzando espressioni sconvenienti e offensive quali: “ma perché sei uscita incinta pure tu?”, “ma perché non sei lesbica tu”, “e come sei uscita incinta tu?”. Il presupposto è che la condotta non vada intesa come una semplice forma di maleducazione, ma rappresenti nei fatti una discriminazione basata sull’orientamento sessuale garantito dalla Costituzione nonché da solidi principi di valore ormai entrati nel sentire comune. Ora, la “giusta causa” di licenziamento, ex articolo 2119 cod. civ., integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite la valorizzazione di fattori esterni quali la coscienza generale e i principi del nostro ordinamento tacitamente richiamati dalla norma. E qui gli estremi ci sono tutti.

Gli Ermellini rilevano infatti che il rispetto che merita qualsiasi scelta di orientamento sessuale è innegabilmente un “portato dell’evoluzione della società negli ultimi decenni: scelta che attiene a una sfera intima e riservata della persona, che va tutelata contro qualsiasi intrusione indebita con strumenti di reazione adeguati”. Tra cui, come in questo caso, l’allontanamento di chi offende dal proprio posto di lavoro, pertanto ritenuto legittimo.

Difatti secondo la Cassazione “il contenuto delle espressioni usate e le ulteriori circostanze di fatto nel quale il comportamento del dipendente deve essere contestualizzato si pongono in contrasto con valori ben piu’ pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell’ordinamento”. Non si parla dunque di semplice “buona educazione”, come il giudice di maerito aveva teso a derubricare, bensì di qualcosa di assai più grave e serio: il rispetto di principi previsti dalla Costituzione come la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo senza distinzione di sesso, la tutela dello sviluppo della persona umana, il lavoro come forma di esplicazione della personalità individuale da tutelare in tutte le sue forme.

Link ordinanza Cassazione 7029/23

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