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Dimissioni volontarie: attenti alla convalida

Sembra quasi impossibile, ma anche le dimissioni sono diventate un onere. Mettiamo caso che un dipendente, per n motivi, decida di interrompere il suo rapporto di lavoro con un’impresa. Semplice, no? No. Infatti la legge Fornero (92/2012, commi 16 e 17), con la lodevole ratio di rendere inefficaci le cosiddette “dimissioni in bianco” (quei “fogli-capestro” che venivano fatti firmare in bianco, già all’atto dell’avvio del rapporto, per poi simulare le dimissioni al momento debito), ha introdotto una procedura alquanto articolata, subordinando l’efficacia delle dimissioni, e quindi la risoluzione del rapporto, a un’ulteriore conferma (convalida) da parte del lavoratore.

Seguiamo quindi l’iter: il lavoratore deve comunicare al datore le proprie intenzioni, in forma scritta se previsto dal Ccnl e con il debito preavviso (secondo l’art. 2118 del Codice civile, sul Recesso dal contratto a t.i.). Ma questo è solo il primo passo: a questo punto, infatti, scatta l’obbligo per il datore di invitare il dipendente a convalidare le proprie dimissioni. In pratica si tratta di ribadire, in forma ufficiale e in sedi predefinite, le proprie intenzioni dimissionarie. Tale invito alla convalida deve essere recapitato al domicilio del lavoratore, o ad altro domicilio formalmente indicato al datore dal dipendente stesso, entro 30 giorni. Se non lo fa, le intenzioni di dimettersi perdono il loro valore ed è come se nulla fosse successo (art. 4 legge 92/12).

Terzo passaggio, di nuovo a carico del lavoratore (ma anche il datore deve fare molta attenzione). Il dipendente dimissionario ha 7 giorni di tempo per convalidare ufficialmente le dimissioni o revocarle. Se rimane silente, trascorsi i sette giorni, il rapporto di lavoro si considera risolto. Se invece revoca le dimissioni, viene reintegrato in servizio e riprende il trattamento economico se interrotto. Se sceglie di confermare le proprie dimissioni, può farlo in tre modi: o adoperando il modello Unilav, cioè sottoscrivendo una dichiarazione di conferma in calce alla ricevuta dell’invito alla convalida; o presso la Direzione territoriale del lavoro o il centro per l’impiego competente; o presso le sedi individuate dal Ccnl di categoria, come, nel nostro caso, i sindacati maggiormente rappresentativi. Una volta firmata la convalida, non c’è più diritto di revoca: il dipendente, insomma, non può più ripensarci.

Attenzione alle superficialità, perché sbagliare è più semplice di quanto si creda e se si sbaglia il recesso non ha alcun effetto e non vi è risoluzione del rapporto di lavoro. Poi ci sono i casi speciali, come quello recentemente chiarito dal Ministero del lavoro in risposta a un interpello (28/2014 del 7 novembre scorso) dell’Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari). Vi si chiarisce che il lavoratore non è tenuto al preavviso in caso di dimissioni fino al compimento dell’anno di età del figlio, come già previsto dal D.Lgs. 151/01, art. 55, comma 5. Ancora: dal 28 giugno 2013 la procedura della convalida si deve applicare anche a contratti di co.co.co. e a progetto.

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