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Dai protocolli ai controlli, una sfida ardua

Lo scenario drammatico e inedito che stiamo vivendo ha visto sin da subito le imprese del nostro settore in prima linea, dapprima nel contrasto al contagio nella fase acuta, poi per la ripartenza.

La sfida più grande: orientarsi nel labirinto dei “protocolli”

Ma la sfida più grande, in questo momento, paradossalmente non è questa: rischia infatti di essere ancora più complicato orientarsi nella giungla di norme, indicazioni e protocolli che in questi giorni spuntano come funghi, e spesso si contraddicono creando spaesamento e caos interpretativo e attuativo. Partiamo dall’inizio, e cioè dalle definizioni: il termine “sanificazione” utilizzato dai vari Protocolli e Linee guida che stanno proliferando in questi mesi (a partire dal Protocollo Governo-parti sociali del 24 marzo) è atecnico, contraddittorio e induce confusione nelle imprese in quanto contrasta, già a monte, con le indicazioni di disinfezione pubblicate a più riprese dal Ministero della Salute e dall’Istituto superiore di Sanità.

Confusione e atecnicità nelle definizioni

Del resto, sono proprio le indicazioni rilasciate dalle autorità sanitarie che invitano alla disinfezione continua e attenta dei luoghi di lavoro con i prodotti indicati come efficaci contro il virus Covid-19 che possono salvaguardare la salute dei lavoratori delle imprese di pulizia/ multiservizi /servizi integrati e dei terzi, clienti o fornitori che siano. Inutile dire che questa confusione definitoria, unita alla necessità di rilasciare un attestato di avvenuta sanificazione, nonché alle agevolazioni fiscali concesse per tale tipo di servizio, ha scatenato una sorta di “assalto alla diligenza” che si è trasformato in una guerra fratricida fra le imprese all’insegna della distinzione fra “pulizia” e “sanificazione”. Una lotta per il “codice ATECO”, generata appunto da una prima confusione definitoria, in cui hanno avuto modo di intrufolarsi realtà tutt’altro che professionali, con grande detrimento della qualità del servizio ma ancor prima, guarda un po’, della sicurezza di operatori e committenze.

I documenti del Ministero della Salute

La sua parte, in questo scenario non chiarissimo, l’ha fatta anche il Ministero della Salute, con diversi documenti da considerare con attenzione perché dedicati specificamente proprio alla questione della sanificazione, con esiti non sempre coerenti: il primo, pubblicato il 22 febbraio (erano i giorni delle primissime chiusure generali) è la circolare n. 5443, in cui si sostiene che le evidenze disponibili mostrano che i virus sono efficacemente inattivati da adeguate procedure di sanificazione che includano l’utilizzo dei comuni disinfettanti di uso ospedaliero, quali ipoclorito di sodio (0.1% -0,5%), etanolo (62-71%) o perossido di idrogeno (0.5%), per un tempo di contatto adeguato. La sanificazione, secondo questo documento, deve essere eseguita mediante pulizia con acqua e sapone e successivamente con una soluzione di ipoclorito di sodio diluita allo 0,1% e con alcool etilico al 70% per superfici che possono essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio: ciò in accordo, si dice, con quanto stabilito dall’OMS.

La circolare del 22 maggio

Lo stesso Ministero è poi tornato sull’argomento, molto più diffusamente, il 22 maggio scorso con la circolare 17644, in cui ampio spazio è dedicato alla questione della “sanificazione”: dopo una premessa di inquadramento generale delle azioni di disinfezione nell’ambito del dlgs 81/2008 e della legge 40/2007, la circolare ricorda opportunamente il ruolo della corretta sanificazione di superfici e locali e della pulizia giornaliera. La nota, per giustificare i prodotti da utilizzare per la sanificazione, espone questa volta le considerazioni sperimentali relative alle condizioni e tempi di permanenza del virus contenuto in materiali biologici sulle varie tipologie di superfici. Per sanificazione -vi si ribadisce- si intende il complesso di procedimenti ed operazioni di pulizia e/o disinfezione e mantenimento della buona qualità dell’aria. Nelle attività commerciali, ma anche, più in generale, nelle attività produttive, vengono valorizzate tre azioni molto importanti: pulire accuratamente con acqua e detergenti neutri (ci toneremo) superfici, oggetti, ecc.; disinfettare con prodotti disinfettanti con azione virucida, autorizzati; garantire sempre un adeguato tasso di ventilazione e ricambio d’aria. Si nota già come le procedure siano decisamente diverse da quelle indicate in precedenza.

I prodotti

In secondo luogo si affronta il delicato tema dei prodotti da utilizzare – i cui riferimenti possono essere rinvenuti nel Rapporto n. 19/2020 e nel più recente Rapporto n. 25/2020 dell’ISS (li ritroveremo tra poco)– che devono essere attentamente valutati prima dell’impiego, per tutelare la salute di lavoratori, utilizzatori, clienti e di tutti coloro che accedono alle aree sanificate. I prodotti utilizzati a scopo di disinfezione devono essere autorizzati con azione virucida come PMC o come biocidi dal Ministero della salute, ai sensi della normativa vigente (e anche su questo torneremo). Con riferimento alle tipologie di disinfettanti, la circolare rinvia per l’appunto al documento n. 19/2020 dell’ISS e raccomanda di prestare la massima attenzione alle etichette ed alle procedure da rispettare. Fondamentale è anche il rinvio al Rapporto n. 25/2020, nella parte in cui si descrive come orientarsi fra i disinfettanti autorizzati e si richiama l’importanza di verificare l’efficacia virucida sull’etichetta del prodotto: attenzione all’etichetta, dunque. La circolare indica, poi, le tipologie di prodotti consigliati in relazione alle superfici sulle quali intervenire: ad esempio, per le superfici in pietra, metalliche o in vetro escluso il legno si possono trattare con detergente neutro e disinfettante virucida, cioè sodio ipoclorito 0,1 % o etanolo (alcol etilico) al 70% o altra concentrazione, purché sia specificato virucida; per le superfici in legno, detergente neutro e disinfettante virucida (contro i virus) a base di etanolo (70%) o ammoni quaternari (es. cloruro di benzalconio; DDAC); si ricordano poi i servizi di pulizia con detergente e disinfezione con disinfettante a base di sodio ipoclorito almeno allo 0.1%. Peccato che fino a poco tempo fa l’etanolo venisse di fatto escluso dai prodotti efficaci dunque impiegabili.

Le modalità organizzative

Una volta in individuati i prodotti, la circolare declina le misure organizzative da adottare, tra cui stabilire una procedura di azione e una pianificazione preventiva, aggiornarla secondo le istruzioni delle autorità sanitarie in ogni momento, effettuare la registrazione delle azioni intraprese, specificando data, ora, persone responsabili, ecc. e salvare tutta la documentazione che può essere generata. E ancora, fra l’altro: informare e distribuire materiale informativo comprensibile desunto da fonti affidabili a tutto il personale, relativamente agli aspetti di base del rischio di contagio: misure di igiene personale e collettiva; criteri stabiliti dall’autorità sanitaria per definire se una persona è stata contaminata; le linee guida per l’azione di fronte a un caso sospetto di contagio.  Altrettanto importante è che le procedure di sanificazione siano adottate nella corretta sequenza. Si ricorda anche che, che, ai fini ispettivi, le indicazioni dei luoghi sanificati, della cadenza temporale adottata e delle tipologie di disinfettanti (con allegazione dei documenti relativi ai prodotti adottati) è essenziale per dimostrare l’adeguata sanificazione.

Ozono sì, ozono no

Infine, la circolare prende posizione in merito ad un quesito spesso posto con riferimento, in particolare, all’uso di alcune sostanze utilizzate in attività di sanificazione ricorrendo a tecniche di generazione in situ (con vaporizzazione). Si tratta dell’ozono, del cloro attivo e del perossido d’idrogeno applicati mediante vaporizzazione/aerosolizzazione. A questo proposito Ministero –riducendo la portata del rapporto ISS n. 25/2020, che invece ne disciplina puntualmente le modalità di utilizzo– afferma che “tali procedure di sanificazione non assimilabili a interventi di disinfezione”: si tratta, infatti, di sostanze generate in situ che non sono autorizzate come disinfettanti, e quindi attualmente non possono essere utilizzate in attività di disinfezione”. Insomma, l’ISS dice una cosa, il Ministero l’altra. Chi seguire? Tra l’altro esistono in commercio, da tempo, prodotti che sono perossido d’idrogeno, registrati al Ministero della Sanità, come PMC con azione disinfettante virucida.

Questi prodotti non vengono né vaporizzati né aerosolizzati bensì nebulizzati in minutissime goccioline di dimensioni minime di 20 micron. Evidentemente è un’attività non conosciuta.

Etanolo sì, no, forse…

Del resto le contraddizioni, le correzioni, le precisazioni e le indicazioni a volte anche in palese contrasto fra loro sono ahinoi all’ordine del giorno: altro esempio riguarda la questione dell’alcol etilico, che nei vari documenti è stato dapprima “demonizzato”, poi riabilitato almeno in parte, poi considerato efficace, a concentrazioni di almeno il 70-75%, sufficienti per distruggere il virus (anche se diverse fonti parlano di almeno il 60% o altre percentuali ancora).

Contraddittorie anche le varie “revisioni” ISS

Per rendersi conto della complessità e, a volte, della contraddittorietà delle indicazioni, basta sfogliare le varie revisioni dei documenti dell’ISS, già citati, recanti “Raccomandazioni ad interim sui disinfettanti nell’attuale emergenza COVID-19: presidi medico chirurgici e biocidi”: si va dal n. 5, il primo ad occuparsi di sanificazione, al n. 19/2020 del 25 aprile, per arrivare alla revisione n. 25/2020 del 15 maggio, appena 20 giorni dopo, in cui molte procedure e indicazioni già cambiano (comprese proprio quelle relative all’etanolo).

E che dire delle ordinanze regionali?

Si sa, è chiaro, che in uno scenario inatteso e in continuo mutamento sono cose che ci si può attendere, ma ciò non significa che non sia lecito aspettarsi una chiarezza diversa. Senza contare indicazioni, destinate alle diverse categorie, che provengono dalle svariate ordinanze regionali, spesso come è noto in contrasto fra di loro e con la normativa nazionale. Un esempio di scuola è la corposa ordinanza regionale lombarda n. 547 del 17 maggio 2020, che reca in allegato le Linee di indirizzo per la riapertura delle attività economiche e produttive, con il dettaglio dei singoli settori. Un documento la cui sola lettura, per non parlare del confronto e integrazione con tutti gli altri fin qui citati,  E se tutto ciò non bastasse, non dimentichiamo i differenti protocolli che enti e soggetti più o meno accreditati. Il tutto ad accrescere la sensazione di caos e di difficoltà di imprese e committenze.

Una normazione generica, spesso senza solide basi scientifiche

Insomma, ci troviamo a che fare con una normazione che nel complesso appare da un lato generica e atecnica, dall’altro fin troppo specifica, con la conseguenza di risultare di difficile interpretazione e contraddittoria. Un esempio? Quando il Ministero parla di “detergenti neutri”, molti addetti ai lavori si sono chiesti perché venga indicato il solo uso di prodotti neutri. La scelta del prodotto più idoneo per la pulizia delle varie superfici, infatti, dipende dal tipo di sporco che si deve eliminare e dal tipo di substrato sul quale tale sporco si trova, e non esiste alcuna motivazione scientifica che suggerisca l’utilizzo di soli prodotti neutri.

E i controlli?

Senza contare che la proliferazione di norme, disposizioni, circolari, indicazioni e protocolli, oltre a creare un comprensibile caos interpretativo e attuativo, genererà (e lo sta già facendo) grandi problemi nei controlli, visto che i soggetti abilitati alle verifiche, dalle Asl ai Nas, dalla Finanza ai Carabinieri e ad altre autorità pubbliche, agiscono riferendosi a una messe sterminata e contraddittoria di prassi e procedure.

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