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Crisi economica globale, riforma del codice appalti e revisione prezzi, tra presente e futuro

Di Domenico Gentile*

L’inattesa esplosione di un conflitto d’altri tempi al confine est dell’Europa, impone infatti di considerare anche un ripensamento delle politiche energetiche e agroalimentari dei paesi membri secondo patti in corso di discussione tra i governi.

Frattanto in Italia pare che qualcosa non funzionasse ancor prima, e a prescindere dall’aggravarsi della crisi in virtù degli eventi bellici: le riforme che hanno accompagnato il varo del PNRR, si sono infatti incentrate sulla fase di affidamento dei contratti pubblici e molto poco hanno previsto sulla fase di esecuzione (per la quale le leggi di semplificazione si sono limitate a rinforzare lo strumento del collegio consultivo-tecnico già previsto dall’art. 207 del d.lgs. n. 50/2016, divenuto obbligatorio sia per i vecchi che per i nuovi appalti: cfr. ora la Lenee Guida del MIT del 17.1.2022, pubblicate in G.U. n. 55 del 7.3.2022).

Solo più di recente il legislatore “della ripartenza” si è avveduto del fatto che la pandemia ha avuto quale prima, immediata conseguenza, una delle più gravi crisi nell’approvvigionamento dei materiali da costruzione e della componentistica elettronica che si siano mai manifestate nel nuovo millennio, con conseguenze del tutto straordinarie ed eccezionali sulla remuneratività delle offerte formulate anche a breve distanza di tempo. Il che ha messo in crisi interi settori dell’economia, non solo nel comparto dei lavori pubblici (si pensi ad esempio alle forniture ospedaliere e agli appalti di servizi, in relazione ai quali anche l’ANAC ha di recente invitato il governo a intervenire, alla luce dell’inadeguatezza della disciplina della revisione prezzi dettata dal codice).

E veniamo al punto.

È noto che nel vigore del vecchio codice il compenso revisionale era dovuto a prescindere da una previsione in tal senso espressa nel bando di gara, avendo anzi la giurisprudenza chiarito che anche nel caso in cui l’amministrazione avesse inteso vietare, nella lex specialis, qualsiasi ipotesi revisionale, il giudice, eventualmente adito dall’appaltatore per ottenere l’adeguamento dei compensi, avrebbe dovuto dichiarare nulla la relativa clausola, per contrasto di essa con norme imperative a carattere economico (con conseguente sostituzione della stessa con la disciplina obbligatoria prevista per legge: cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 03/07/2020, n.504).

In tutt’altro senso si è poi attestato il codice del 2016, che nell’inquadrare l’istituto della revisione prezzi nell’ambito delle modifiche dei contratti in corso d’opera ha previsto che “I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificatiomissis…a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi” (art. 106, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 50/2016).

L’attuale disciplina – che pure aveva posto problemi applicativi di non poco conto ben prima della crisi – ha manifestato tutti i suoi limiti con l’avvio dell’attuazione del PNRR, a seguito dell’aumento incontrollato dei prezzi dei materiali da costruzione e dei trasporti, a causa della pandemia, e più di recente dell’energia e dei prodotti agro-alimentari in conseguenza del conflitto russo-ucraino.

Da più parti è stato così invocato un intervento correttivo, che si è di recente materializzato con l’entrata in vigore dell’art. 29 del D.L. n. 4 del 27.1.2022 (cd. Decreto Sostegni ter), ove è sostanzialmente prevista una ‘moratoria’ della facoltatività delle clausole revisionali, ora da prevedersi obbligatoriamente nei bandi di gara degli appalti di lavori, servizi e forniture pubblicati tra la data di entrata in vigore del decreto “Ristori-ter” (28.1.2022) e il 31 dicembre 2023 (cfr. l’art. 29, comma 1, lett. a, D.L. n. 4/2022).

Sempre in temporanea deroga al disposto di cui all’art. 106 c.c.p., ma questa volta con previsioni valide solo per il settore dei lavori pubblici, le variazioni, sia in aumento che in diminuzione, dei prezzi dei materiali da costruzione vanno riconosciute dalle stazioni appaltanti se singolarmente d’importo superiore al 5% (e non più al 10%, come previsto dalla norma ‘sospesa’) e solo per la parte eccedente tale limite, secondo parametri valutativi che saranno stabiliti – in base alle rilevazioni annuali dell’ISTAT – con decreto del MIT da pubblicarsi entro il 30 aprile di ciascun anno (art. 29, comma 1, lett. b, e commi 2 e 3).

La revisione non è dovuta per il primo anno di durata del contratto e grava sull’appaltatore l’onere, a pena di decadenza, di presentare l’istanza di compensazione entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto del MIT nella Gazzetta Ufficiale.

All’istanza va allegata la documentazione utile a dimostrare l’aggravamento dei costi rispetto alle documentate previsioni d’offerta, essendo la compensazione dovuta nella misura prevista dal decreto ovvero in quella inferiore eventualmente dimostrata.

Secondo la giurisprudenza formatasi nel vigore di previsioni dal contenuto del tutto analogo a quello ora riproposto dall’art. 29 D.L. cit. (cfr. l’art. 1 del D.L. 162/2008, approvato per far fronte all’ultima crisi economica), in presenza delle condizioni stabilite dalla legge l’appaltatore vanta un vero e proprio diritto soggettivo al compenso revisionale per l’incremento dei prezzi dei materiali da costruzione, in ciò differenziandosi dalla revisione prezzi prevista per gli appalti di servizi e forniture (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2021, n. 5531). Diritto che tuttavia può esser fatto valere innanzi al giudice amministrativo, in virtù della giurisdizione esclusiva a questi riconosciuta in materia di revisione prezzi (art. 133, d.lgs. n. 104/2010).

Agli appalti di servizi e forniture la disciplina introdotta dal decreto “Sostegni-ter” si applica limitatamente al carattere obbligatorio dell’inserimento nei bandi della clausola revisionale, con la conseguenza che trova applicazione la regola giurisprudenziale cui si è fatto sopra riferimento della sostituzione della disciplina legalmente imposta con diverse previsioni della lex specialis.

Con il bando tipo approvato con Delibera n. 1/2021, l’Anac aveva inoltre già segnalato l’esigenza di clausole inequivoche, che stabiliscano condizioni di ammissibilità chiare e che con altrettanta chiarezza individuino i parametri per la quantificazione della revisione eventualmente dovuta, tenendo “conto dei prezzi di riferimento, ove definiti”.

In realtà, la mancata abrogazione di tutta una serie di norme che si sono nel tempo occupate della materia, implica che ai prezzi rilevati dall’Osservatorio si dovrà fare riferimento, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), D.L. 6.07.2011 n. 98 (convertito in legge 15.07.2011, n. 111), per gli appalti indetti dalle aziende sanitarie ed ospedaliere.

Per i contratti stipulati dai soggetti aggregatori di cui all’art. 9 del D.L. 66/2016, dovrebbe invece continuare a valere quanto previsto dall’art. 1, comma 511, della L. 208/2015 (cd. legge di stabilità per il 2016), richiamato dall’art. 106 del codice. Con la conseguenza che in tal caso la revisione dei prezzi sarà dovuta solo in caso d’incrementi superiori alla soglia del 10%, considerata l’alea di rischio dell’appaltatore.

De iure condito occorre segnalare che l’istituto della revisione prezzi per come delineato dal “diritto amministrativo della ripartenza” soffre di un grave limite, nella misura in cui la nuova disciplina si applica esclusivamente alle gare bandite dalla data di entrata in vigore della norma, mentre gli effetti negativi degli eventi eccezionali verificatisi nel corso degli ultimi due anni si producono hic et inde e rischiano di condurre al fallimento un numero elevatissimo di imprese.

De iure condendo, va invece segnalato che il testo della legge delega per la riforma del codice dei contratti pubblici approvato dal Senato e in corso di discussione alla Camera dei Deputati, demanda al legislatore delegato d’inserire nel nuovo codice la “previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa” (art. 1, lett. f, testo approvato).

Sebbene la riforma in cantiere abbia il pregio di prevedere la stabilizzazione dell’obbligo di riconduzione ad equità dei contratti pubblici, la generalizzazione del criterio dell’imprevedibilità, cui il criterio di delega subordina il riconoscimento del compenso revisionale, potrebbe tuttavia condurre all’approvazione di una disciplina in taluni casi iniqua, non coerente ad esempio con il carattere continuativo degli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera.

Nell’ambito di tali appalti, infatti, gli incrementi del costo più rilevante, che è appunto quello della manodopera, sono in genere prevedibili nell’an, ma non nel quantum, all’atto della formulazione dell’offerta, allorché ai concorrenti è ben nota la data di scadenza della parte retributiva del CCNL, ma non anche la misura dell’incremento che la contrattazione collettiva riconoscerà in sede di rinnovo. Con la conseguenza che potrebbero non essere riconosciuti alle imprese, in quanto prevedibili nell’an ma non nel quantum, i maggiori costi della manodopera derivanti dall’approvazione del rinnovo contrattuale in corso di rapporto, con effetti potenzialmente dirompenti, incidenti in ultima analisi sul rispetto dei diritti dei lavoratori, eterna parte debole della catena.

*Studio Legale Malinconico & Gentile

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