1.583.808 attivazioni nei primi tre mesi del 2014: + 2,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il che significa, in numeri, 42.843 contratti in più. Questi i dati sui contratti a termine a pochi mesi dall’entrata in vigore dalla legge 78/2014″ (dl Poletti), che ha introdotto importanti modifiche sui rapporti di lavoro a tempo determinato. Il 70% circa delle assunzioni registrate si (1.654.314) si concentra proprio nel settore dei servizi.
Ma come gestire un pacchetto di novità tanto corposo? Quando e come si può assumere un lavoratore a tempo determinato? E, nel caso, quali sono le cose da tenere a mente, quelle da fare obbligatoriamente e quelle da evitare assolutamente? Cerchiamo di andare con ordine: innanzitutto, fatti salvi i casi limite e quelli di divieto per legge (alcuni esempi: scioperi, omessa valutazione rischi, ecc.) , e fatto salvo quanto previsto dai contratti collettivi di categoria (nel caso delle impree di pulizia/servizi integrati/multiservizi, i contratti a termine sono disciplinati dall’art. 11 del Ccnl 31/5/2011), per le aziende fino a 5 dipendenti è sempre possibile la stipula di contratti a td. Oltre i 5 lavoratori, bisogna fare riferimento all’art. 1 del Dl Poletti, secondo cui i lavoratori a td non devono eccedere il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di riferimento. Questi i principali vincoli: prima di procedere alla stipula del contratto, occorre poi verificare che l’aspirante non abbia già avuto rapporti lavorativi con l’azienda in passato, e che non vi siano ex-dipendenti con diritto di precedenza.
Un’importante novità del “Poletti” è che non è più necessario giustificare il ricorso a contratti a termine. Le motivazioni vanno addotte (per iscritto) solamente nel caso di licenziamento prima del termine, al fine di determinarne la giusta causa. Nel contratto occorre specificare soltanto la data di cessazione del rapporto, e sempre per iscritto dev’essere informato il neo-assunto del proprio diritto di precedenza, ove presente. Quest’ultimo è un nuovo adempimento a carico del datore: va detto che, se non è disposto diversamente dalla contrattazione collettiva, di norma il diritto di precedenza si acquisisce con attività lavorativa di almeno sei mesi e un giorno presso il datore. Il lavoratore, per esercitare il suo diritto, informerà il datore della sussistenza del medesimo entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto. Attenzione alla precedenza: la violazione di tale diritto espone il datore a contenzioso da parte del lavoratore eventualmente escluso.
Prima di iniziare il rapporto il datore può chiedere un “periodo di prova”, chiamato anche “patto di prova”, risultante da atto scritto (2096 Cod. Civile). Si tratta di un periodo, di durata proporzionata rispetto ai termini del contratto, nel quale entrambe le parti possono recedere dal rapporto senza preavvisi o indennità.
Quindi, se nessuna delle due parti ha effettuato il recesso durante l’eventuale periodo-prova, si giunge alla stipula del contratto. Elemento centrale, evidentemente, è proprio il “termine”, ossia la data di scadenza del rapporto. Qui bisogna fare molta attenzione: la durata massima complessiva è di 36 mesi, comprensivi delle proroghe, al massimo 5. La data di scadenza può essere indicata in due modi: o in modo puntuale (giorno/mese/anno della cessazione prevista), o relativamente al verificarsi di un dato evento il cui termine preciso risulta imprevedibile all’atto della stipula del contratto (il caso tipico è la sostituzione di malattie o maternità, in cui si assume “fino all’effettivo rientro in servizio” del titolare).
Dicevamo della durata del contratto. Si tratta di 36 mesi (anche se, nel testo del 368/2001, come modificato dal “Poletti”, a volta si fa riferimento ai mesi, a volte a tre anni, a volte ai giorni), pena la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato (salve eventuali deroghe previste dalla contrattazione collettiva). Per il computo dei mesi, si deve far riferimento alla circolare 13/08 del Ministero del Lavoro, che indica in 30 giorni l’equivalente di un mese di lavoro. Ma attenzione: i 36 mesi si riferiscono allo “svolgimento di mansioni equivalenti”, e si riferiscono anche ai periodi lavorati dal 18 luglio 2012.
Nel caso di proroga, occorre ricordare che il massimo di proroghe consentite è 5. La proroga si rende necessaria qualora, alla scadenza del contratto a termine, il datore riterrà ancora di usufruire delle prestazioni del lavoratore. La proroga del contratto in essere dovrà avvenire con apposito atto scritto, solo nel caso in cui il lavoratore sia d’accordo e le mansioni siano le stesse di quelle previste dal contratto originario. La somma delle durata del contratto originario e delle proroghe non potrà superare comunque i 36 mesi. Salvo diversamente disposto dal Ccnl, al termine dei 36 mesi datore e lavoratore potranno stipulare un solo nuovo contratto a td nella sede della Dtl, con durata stabilita a livello sindacale (solitamente 8 mesi). Un’altra opportunità per continuare il rapporto, alternativa alla proroga, è la prosecuzione del contratto: in questo caso, però, ci si limita a 30 giorni se in precedente contratto è durato meno di 6 mesi, 50 se più, e si prevedono maggiorazioni retributive fino al 40%. Importante anche la riduzione degli intervalli tra i contratti a td: adesso sono di 10 o 20 giorni, a seconda che il rapporto precedente sia durato meno o più di 6 mesi (pena la trasformazione del rapporto a ti).
Un altro aspetto da sottolineare, perché può interessare da vicino la realtà delle imprese di pulizia/servizi integrati/multiservizi, riguarda la sostituzione per maternità/paternità. In questo caso è disposto che si possa assumere personale a td in sostituzione fino a un mese prima dell’inizio del congedo parentale. E se l’impresa ha meno di 20 dipendenti, sgravio contributivo del 50% fino al primo anno di età del bambino per i contributi a carico del datore.