HomeNewsletterComporto e invalidità

Comporto e invalidità

Anche il lavoratore disabile è licenziabile per il superamento del periodo di comporto, se l’assenza è originata da una patologia di origine comune e non a una problematica legata alla sua disabilità, e alle mansioni cui era stato assegnato, in modo oggettivamente dimostrabile. Questo il principio-cardine della sentenza della Cassazione n. 9395/17, dello scorso 12 aprile.

Il caso riguarda un lavoratore (magazziniere con compiti promiscui di sollevamento manuale e con carrelli, ma il fatto è applicabile anche ad altre tipologie di mansioni e/o servizi) assunto da un’azienda in quanto iscritto negli elenchi degli invalidi ex lege n. 482/68, che contestava la legittimità del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto.

Reintegrato in primo grado, licenziato in Appello
Il Tribunale di primo grado aveva condannato la società alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno ex art. 18 I. n. 300/1970. Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte d’Appello che rigettava le domande proposte dal lavoratore e lo condannava alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado. E ora la Cassazione, con la sentenza del 12 aprile, conferma la decisione dell’Appello convalidando il licenziamento per il superamento del periodo di comporto.  La principale motivazione del lavoratore riguardava la sua condizione di particolare tutela, derivata dal fatto di essere iscritto, appunto, negli elenchi degli invalidi, e che la prolungata assenza era dovuta alle specifiche mansioni cui il lavoratore era stato adibito: il sollevamento di carichi, secondo il dipendente, avrebbe aggravato la patologia retinica di cui già soffriva,

La Cassazione convalida il recesso
Per la Cassazione (come per l’Appello), tuttavia, è accertato “che la patologia da cui era scaturita l’assenza del lavoratore protrattasi dal gennaio all’ottobre 2005, era conseguita al decorso di una pregressa degenerazione retinica; che essa non era riconducibile ad una causa violenta, trattandosi di patologia di origine comune; che gli sforzi fisici quali il sollevamento di pesi anche inferiori ai 15 chilogrammi o la ripetuta movimentazione di carichi connessi alle mansioni di magazziniere per le quali era stato avviato obbligatoriamente al lavoro, non avevano determinato l’aggravamento di una patologia preesistente, considerato il breve periodo di lavoro di circa tre mesi, svolto alle dipendenze della società, prima del manifestarsi della degenerazione retinica.” In sostanza la patologia non era direttamente connessa all’invalidità, e non era dimostrato che le mansioni cui il lavoratore era stato assegnato potessero condurre a un aggravamento di patologia preesistente. In un caso come questo, per la Cassazione, occorre procedere come per tutti gli altri lavoratori.

Non si calcolano le assenze solo se…
Infatti, se è vero che ““nell’ipotesi di rapporto di lavoro con invalido assunto obbligatoriamente ai sensi della legge 12 aprile 1968, n. 482, le assenze dovute a malattie collegate con lo stato di invalidità non possono essere computate nel periodo di comporto, ai fini della conservazione del posto di lavoro ex art. 2110 cod. civ., se l’invalido sia stato adibito, in violazione dell’art. 20 della legge n. 482 del 1968, a mansioni incompatibili con le sue condizioni di salute, in quanto la impossibilità della prestazione deriva, in tale caso, dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica del lavoratore”, è altrettanto vero che, quando manchi il nesso dimostrato fra mansioni e patologia, e quando quest’ultima non sia direttamente riconducibile allo stato di invalidità, tale principio non vale.

Spetta al dipendente l’onere di prova
Inoltre, altro principio importante, spetta al lavoratore dimostrare l’inadempimento datoriale, nonché il legame fra quest’ultimo, il danno alla salute e le assenze che ne conseguono: il lavoratore -sostiene sempre la Suprema Corte “è gravato dell’onere di provare gli elementi oggettivi della fattispecie, sulla quale si fonda la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, dimostrandone l’inadempimento, nonché il nesso di causalità tra l’inadempimento stesso, il danno alla salute e le assenze dal lavoro che ne conseguano.”

 Link Sentenza Cassazione 12 aprile 2017

 

 

 

 

CONTENUTI SUGGERITI