Essere oggetto di licenziamento, si sa, non piace a nessuno. Ed è comprensibile e prevedibile che, in caso di recesso, il lavoratore valuti, anche in sede giudiziale, tutte le possibilità di scongiurare il vulnus del provvedimento espulsivo.
Il caso della cessione di contratto
Cosa succede, ad esempio, nel caso di cessione di contratto di lavoro? Mettiamo caso che il cedente abbia comunicato il recesso per motivi disciplinari e che nel frattempo sia subentrato il cessionario senza che la sentenza d’appello con cui il licenziamento era stato impugnato fosse passata in giudicato (ossia, in linguaggio tecnico, fossero scaduti i termini di impugnazione ordinaria). Cosa accade?
Il caso in Cassazione
E’ l’interessante caso -peraltro non raro nell’attività delle imprese di pulizia/ multiservizi /servizi integrati, soggette a frequenti cambi d’appalto e subentri- affrontato in sede di Cassazione, con Ordinanza n. 28406 del 5 novembre 2024. Diciamo subito che la Suprema Corte ha chiarito l’importante principio civilistico secondo cui l’efficacia di una decisione favorevole al cedente si trasmette automaticamente al cessionario.
La vicenda giudiziale
La vicenda trae origine da un caso in cui un lavoratore, licenziato per motivi disciplinari nel 2012, era stato reintegrato a seguito della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato nullo il licenziamento. In pendenza del procedimento d’appello proposto dal datore, il contratto veniva trasferito a un’altra società attraverso una cessione individuale di contratto ex art. 1406 Cod.civ. Al che la Corte d’Appello, con successiva pronuncia, riformava la decisione di primo grado, dichiarando legittimo il licenziamento. Ora, alla luce di tale pronuncia il subentrante aveva comunicato al lavoratore, nel 2019, la cessazione definitiva del rapporto di lavoro.
La successiva impugnazione
Quest’ultimo, a sua volta, impugnava il provvedimento per le motivazioni di cui sopra, contestando cioè l’efficacia nei confronti dell’impresa subentrata delle decisioni assunte dall’ex datore. Il caso arriva dunque all’esame della Cassazione, che ha ha respinto il ricorso del lavoratore, confermando con l’ordinanza in esame la legittimità dell’operato datoriale.
L’appello è già esecutivo
Per la prima volta portate all’attenzione della Cassazione, sono state ritenute inammissibili sia la richiesta di dichiarare invalida la comunicazione sia quella di sospensione del procedimento: risulta infatti infondata l’eccezione secondo cui la Corte non poteva riconoscere l’efficacia del licenziamento prima del giudicato, dato che non è necessario l’intervento di quest’ultimo per attribuire efficacia risolutiva ad un licenziamento legittimato in sede di appello (dunque già ipso facto esecutivo).
L’art. 111 Cod. proc. civ.
Attraverso il richiamo dell’art. 111 cpc rubricato “Successione a titolo particolare nel diritto controverso”, inoltre, gli Ermellini hanno fatto notare che “l’effetto successorio non restava precluso dal mancato intervento della società cessionaria nel giudizio di impugnativa del licenziamento”, perché il successore a titolo particolare, in questo caso il cessionario, è vincolato giuridicamente agli effetti delle sentenze intercorse tra le parti originarie che sono applicabili immediatamente.
Il trasferimento complessivo delle situazioni giuridiche
La Cassazione chiarisce, poi, che la cessione comporta un trasferimento complessivo delle situazioni giuridiche attive e passive, compresa l’efficacia risolutiva di un licenziamento già intimato dal cedente ed ancora sub iudice. Non rileva peraltro l’omissione, in atto di cessione, dello specifico riferimento al licenziamento, in quanto la trasferibilità della sua efficacia si ricava già da precise disposizioni civilistiche.