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Certificazioni ambientali: indispensabili per competere

di Paolo Fabbri

Per un numero sempre più crescente di acquisitori, sia pubblici che privati, la qualificazione e la successiva valutazione dei fornitori si basa non solo sulla verifica di requisiti di qualità tecnica, economica e organizzativa, ma anche sul rispetto di criteri di sostenibilità ambientale ed etica.

Per tale ragione, anche grazie alla diffusione e al consolidamento degli strumenti operativi della Responsabilità Sociale d’impresa 1 (per le aziende) e del Green Public Procurement2 (per le stazioni appaltanti) le performance dei fornitori vengono valutate attraverso parametri di tipo ambientale e/o sociale pur mantenendo invariati quelli “tradizionali”.

Attraverso quali strumenti si basa il rating di sostenibilità di un fornitore?

Un fornitore può essere selezionato in base ai prodotti ecologici/servizi che caratterizzano la propria offerta mediante il possesso di marchi ecologici di prodotto/servizio come l’Ecolabel UE.

L’Ecolabel UE è il marchio dell’Unione Europea che premia i prodotti migliori dal punto di vista ambientale, che possono così diversificarsi dai concorrenti presenti sul mercato, mantenendo comunque elevati standard prestazionali.

Oltre al marchio ecologico europeo sono presenti altri marchi ecologici nazionali come il Blauer Engel (marchio ecologico tedesco) o il Nordic Swan (marchio ecologico dei paesi scandinavi) o il Umweltzeichen (marchio ecologico austriaco).

Queste certificazioni – i così detti marchi ecologici di Tipo I conformi allo standard UNI EN ISO 14024- si basano su un sistema di criteri selettivi, definito su base scientifica, che tiene conto degli impatti ambientali e etici lungo l’intero ciclo di vita e sono sottoposte alla verifica da parte di un ente indipendente e accreditato.

I criteri richiesti da tali certificazioni riguardano anche aspetti inerenti la salute e la sicurezza dei consumatori, i principali aspetti sociali ed etici e il rispetto di requisiti prestazionali. Inoltre, tali criteri sono il risultato di un processo concertato, condiviso e aperto a tutte le parti interessate, che siano diretta rappresentazione delle aziende del settore e dei principali stakeholder, anche istituzionali (associazioni imprenditoriali, parti sociali, aziende ecc.). Le certificazioni devono anche essere accessibili a tutti gli interessati, che siano in possesso dei requisiti, senza preclusioni o particolari “selezioni all’ingresso”.

Infine, estremamente importante è il requisito dell’indipendenza: significa che l’Ente di certificazione che svolge la verifica, al fine di poter garantire e mantenere la massima obiettività e imparzialità di giudizio, deve essere diverso dal soggetto che definisce le norme di certificazione.

Oltre ai marchi ecologici di Tipo I, sono sempre più spesso utilizzati come strumento di valutazione dei fornitori le Dichiarazioni ambientali di prodotto (marchi ecologici di Tipo III – conformi allo standard UNI EN ISO 14025) che si basano su parametri stabiliti e sottoposte a un controllo indipendente, quali l’EPD (Environmental Product Declaration).

Da un punto di vista tecnico, l’EPD si costituisce come uno strumento di valutazione e di comunicazione delle prestazioni ambientali di un prodotto (o di un servizio), basato sull’uso delle metodologie tecniche di LCA (Life Cycle Assessment): si tratta di metodologie tecniche in grado di valutare l’impronta ambientale lungo l’intero ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime fino al suo fine vita (“dalla culla alla tomba”).

Un’altra certificazione basata sempre su metodologie e tecniche di LCA è la Cradle to Cradle (dalla culla alla culla) che però presuppone – ancor prima della fase di progettazione – analisi e valutazioni tecniche finalizzate a eliminare o ridurre al massimo l’ultima fase (la trasformazione in rifiuto) della vita dei prodotti.

Tale approccio è in linea con quanto stabilito dal nuovo piano d’azione per l’economia circolare definito dall’Unione Europea (Comunicazione n. 98 del 2020). Gli obiettivi del piano sono di ridurre l’impatto dei consumi dell’Unione Europea, raddoppiare la percentuale di ri-utilizzo dei materiali nel prossimo decennio, sostenere la crescita economica. La strategia poggia su tre pilastri fondamentali: la progettazione dei prodotti, la possibilità per i consumatori di operare scelte consapevoli e una maggiore sostenibilità dei processi produttivi.

In questo contesto l’Italia si è caratterizzata per la nascita di due schemi di certificazione finalizzati alla verifica del contenuto di riciclato in un materiale o bene: ReMade in Italy (per tutte le tipologie di materiali) e Plastica Seconda Vita (per la plastica).

Il ruolo delle certificazioni nella lotta al cambiamento climatico

Il nuovo piano d’azione per l’economia circolare è stato adottato dalla Commissione europea nell’ambito del Green Deal: che tra gli obiettivi più ambiziosi stabilisce che il vecchio continente dovrà arrivare a zero emissioni nette di gas a effetto serra entro e non oltre il 2050.

Non è un caso quindi che la Commissione europea abbia armonizzato le metodologie per quantificare le emissioni di gas ad effetto serra (GHG -Greenhouse Gases) derivanti dalle attività di un operatore economico o dei propri prodotti/servizi.

La Carbon footprint di prodotto (CFP)3 è uno strumento di mercato su base volontaria il cui riferimento è la norma ISO 14067 che definisce requisiti e linee guida per la quantificazione di gas serra, basandosi sugli standard internazionali di riferimento per gli studi di Life Cycle Assessment-LCA.
La CFP consente di individuare le fasi maggiormente critiche in termini di emissioni GHG, rendendo possibile l’attuazione di interventi di riduzione delle stesse.
La Carbon footprint di organizzazione (CFO) – basata sullo standard ISO 14064-consiste nella quantificazione e rendicontazione delle emissioni, dirette o indirette di gas effetto serra (GHG) connesse all’organizzazione.

Le certificazioni ambientali nel settore del cleaning professionale: i possibili sviluppi

In Italia il settore si è caratterizzato e si caratterizza per una notevole recettività nei confronti delle certificazioni di prodotto, di organizzazione e di servizio. Chiaramente però anche alla luce dell’emergenza sanitaria in corso e degli scenari di adattamento delineati dal Green Deal Europeo, la scelta di un operatore del cleaning – che sia una impresa di pulizia, un produttore, un distributore – di quantificare in modo credibile, oggettivo e scientifico gli impatti ambientali di un prodotto ma anche di un servizio- è sicuramente lungimirante e strategica per continuare a rimanere competitivi ed innovativi in un mercato che, con ogni probabilità, non sarà più lo stesso dopo la pandemia.

1 – Secondo l’Unione europea, significa “soddisfare le esigenze del cliente e saper gestire allo stesso tempo le aspettative di altri stakeholders, come ad esempio il personale, i fornitori e la comunità locale di riferimento”.
2 – L’approccio in base al quale le Stazioni Appaltanti integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”.
3 – Riconosciuta come criterio premiante delle offerte nei recenti CAM per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione di edifici e ambienti ad uso civile, sanitario e per i prodotti detergenti. (DM 51 del 29 gennaio 2021) e CAM per l’affidamento del servizio di lavaggio industriale e noleggio di tessili e materasseria (DM 9 dicembre 2020).

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