Il comprensibile accavallarsi di “letture”, commenti, opinioni e critiche sul nuovo Codice degli Appalti, pubblicato in aprile in Gazzetta Ufficiale con il nome di DLgs 50/2016, e sulle imminenti Linee Guida dell’Anac, non deve far sfuggire altri “filoni” di dibattito forse meno appariscenti, ma altrettanto importanti. Uno di questi è da seguire con grande attenzione perché si tratta di una potenziale “bomba” su tutto il comparto. Cerchiamo di capire perché, seguendo gli ultimi passaggi della vicenda.
Il tema è quello della modifica, richiestaci dall’Europa, dell’art. 29 (Appalto), comma 3, del Dlgs 276/2003 (la cd “legge Biagi”), che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.” Insomma, la disposizione in questione, con grande lungimiranza e saggezza legislativa, “agevola” l’applicazione, in caso di passaggio di commessa, delle clausole sociali, tenendo presente la particolare natura del settore degli appalti, in cui il “cambio d’appalto” è un caso frequentissimo.
Tutto bene, dunque. Senonché, come anticipavamo, per l’Europa -procedura EU Pilot (caso 7622/15/EMPL)- tale previsione normativa risulta inaccettabile in quanto eccessivamente restrittive dell’ambito di applicazione delle regole sul trasferimento d’azienda contenute nell’articolo 2112 del Codice civile, che recepiva, attuandola, una direttiva europea. Per definire il concetto di “cessione di ramo d’azienda” occorre infatti riandare al Codice Civile, che all’articolo 2112 recita fra l’altro: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.” Lo stesso articolo 2112 prevede per i lavoratori soggetti a “passaggio d’azienda” tutele più estese rispetto a quelle che derivano da un più semplice cambio d’appalto, e maggiori oneri per l’imprenditore. Il legislatore italiano, tuttavia, ha ritenuto che, diversamente a quanto accade per il passaggio d’azienda, nel cambio d’appalto si tratti non già di un trasferimento di mezzi, ma semplicemente di personale in capo al nuovo appaltatore.
In seguito alle sollecitazioni europee, tuttavia, lo scorso marzo si era addirittura ventilata la proposta di eliminare in tronco il comma 3 dell’art. 29 della 276/03, di fatto equiparando il cambio d’appalto alla cessione d’azienda. Una notizia che, sebbene passata in sordina, spaventava moltissimo gli addetti ai lavori: immaginate infatti cosa significherebbe attivare le procedure di cessione d’azienda (con annesse procedure di licenziamento e riassunzione) ogni volta che ci sia un cambio d’appalto… insomma, una vera bomba per il nostro settore. Basti rileggere l’allarme lanciato dal Sole 24 Ore lo scorso 24 marzo, attraverso le parole del giuslavorista Arturo Maresca: “Il nuovo appaltatore dovrà attivare preventivamente una procedura sindacale – aggiunge Maresca – e subentrerà in tutti i rapporti di lavoro che facevano capo al vecchio appaltatore, dovendo garantire non solo la continuità del rapporto, ma la stessa anzianità di servizio, di stipendio, di orario e di mansione. Avrà sempre la possibilità di licenziare il personale eventualmente eccedente, ma lo potrà fare soltanto attivando le procedure complesse del licenziamento collettivo.” (fonte: il Sole 24 Ore, 20 marzo 2016).
Fortunatamente, tuttavia, dopo una serie di valutazioni (tra cui il fatto che l’emendamento in questione sarebbe incompatibile con i nuovi contratti a tutele crescenti previsti dal jobs Act, nella seduta del Senato del 4 maggio scorso (Atto Senato 2228), è stata approvata una riformulazione da parte del Governo di un emendamento alla “legge europea 2015” a prima firma di Maurizio Sacconi, che riscrive la norma Biagi in materia di cambio d’appalto, proprio con lo scopo di neutralizzare i possibili effetti che potrebbero derivare da un’eventuale abrogazione della stessa. La riformulazione dell’emendamento 8.201 – testo 2- sostituisce il comma 3 dell’art. 29 del d.lgs. 276 del 2003 con uno nuovo, secondo cui “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”. Grazie a questa formulazione, sarebbe scongiurato almeno il rischio macroscopico, cioè quello di veder applicata ogni volta la disciplina della cessione d’azienda. Tuttavia, a differenza della precedente formulazione, questa sembrerebbe meno convincente dal punto di vista dell’oggettività dei parametri, il che potrebbe dare adito a esiti giudiziali incerti in caso di contenzioso. Ora il testo, approvato in Senato il 10 maggio scorso e trasmesso l’11, dal 12 maggio è all’esame della Camera con la dicitura “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Legge europea 2015-2016” e la sigla C.3821. Aspettiamo dunque ulteriori sviluppi.
D’altra parte, che questo sia un “terreno caldo” lo dimostrano anche recenti sentenze, su tutte quella n. 7121/2016 della Cassazione (12 aprile), che ha ordinato l’applicazione del 2112 del C. Civile (quindi della cessione aziendale) nei riguardi di un gruppo di lavoratori riassunti da un nuovo appaltatore di servizi subentrato a un precedente operatore: una sentenza che “farà scuola” perché, al di là degli elementi circostanziali, fissa il principio secondo cui è sufficiente che vi sia il passaggio di forza-lavoro per configurare la “temuta” ipotesi di cessione d’azienda.