HomeNewsletterBufera sul “cambio d’appalto”

Bufera sul “cambio d’appalto”

Il countdown volge al termine, e non si tratta di una buona notizia: il prossimo 23 luglio, infatti, entra in vigore la nuova Legge Europea 2015-2016, approvata in via definitiva dalla Camera il 30 giugno scorso e pubblicata come Legge 7 luglio 2016, n. 122 (in G.U. n. 158 dell’8 luglio 2016; in vigore appunto dal 23 luglio 2016), che cambia non poco (in peggio) la disciplina sul cambio d’appalto.

Come si ricorderà, si tratta di uno dei temi più dibattuti negli ultimi mesi, da quando cioè, in risposta a una sollecitazione europea -procedura EU Pilot (caso 7622/15/EMPL)- con conseguente apertura della pre-infrazione, l’Italia ha deciso di rimettere mano all’articolo 29 (Appalto), comma 3, del Dlgs 276/2003 (la cd “legge Biagi”), che escludeva completamente i casi di cambio d’appalto dall’applicazione dell’articolo 2112 del Codice Civile, che disciplina il più oneroso “trasferimento d’azienda” o di ramo aziendale.

La legge Biagi prevedeva infatti che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.”

Tale previsione normativa, tuttavia, è stata dall’Europa considerata inaccettabile in quanto eccessivamente restrittiva dell’ambito di applicazione delle regole sul trasferimento d’azienda contenute nell’articolo 2112 del Codice civile, che recepiva, attuandola, una direttiva europea. In soldoni, l’Europa considera il trasferimento d’azienda maggiormente tutelante per il lavoratore, in quanto prevede, fra l’altro, che “Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.” In sostanza il Trasferimento di azienda risulta molto più oneroso sotto il profilo della responsabilità in solido.   E a nulla vale la presenza, nel nostro settore, della clausola sociale prevista dall’art. 4, una disciplina “win-win” che nel nostro settore è stata sempre applicata senza troppi problemi accontentando un po’ tutti:  imprese, sindacati e lavoratori.

Il problema, dunque, era quello di trovare una soluzione che da una parte accontentasse l’Europa, dall’altra non risultasse eccessivamente penalizzante per le imprese di comparti (come il nostro) in cui il cambio d’appalto è un caso frequentissimo, e fra l’altro già “coperto” da precise disposizioni contrattuali.  E così, dopo lunghe discussioni, è stato accettato l’emendamento “Sacconi” (8201 – testo 2), che ha dato luogo alla seguente riformulazione dell’art. 29 della Biagi (dal testo della Legge Europea):

Capo VI

Disposizioni in materia di occupazione

Art. 30

Disposizioni in materia di diritti dei lavoratori a seguito di

subentro di un nuovo appaltatore. Caso EU Pilot 7622/15/EMPL

  1. All’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda».

Ora, come anticipavamo qualche settimana fa (GSA newsletter del 18 maggio) si tratta di una soluzione “di compromesso” che, se da un lato mira comunque ad escludere la fattispecie del cambio d’appalto dall’ambito di applicazione del 2112, dall’altro apre il campo a “praterie” interpretative prevedendo requisiti e specifiche piuttosto vaghi e generici. In pratica, ci sembra di capire, la ratio legis è quella di assicurarsi che l’appalto sia “genuino”, cioè svolto con una propria organizzazione da un’impresa dotata di una specifica e distinta identità, dall’altro non è sempre facile determinare quando effettivamente lo sia, soprattutto nel caso di rapporti tra privati (nel pubblico potrebbe fare fede il progetto tecnico, che distingue chiaramente un’impresa dall’altra… ma anche lì è tutto da vedere). Cosa si intende esattamente per “propria organizzazione”? E cosa per “discontinuità” o “identità aziendale”? Il nome? La ragione sociale? I mezzi? Le divise? A chi è in capo, in caso di ricorsi o contenziosi, l’onere di dimostrare tutto questo? L’impressione è che poi toccherà ai giudici riempire queste “etichette” generiche, con conseguente proliferazione di procedure di contenzioso proprio mentre (ironia della sorte) escono i criteri reputazionali delle imprese che valorizzano i soggetti poco propensi alle liti.

Insomma, questa soluzione, seppure scongiuri l’applicazione in ogni caso e sempre della disciplina del trasferimento, appare comunque poco convincente dal punto di vista dell’oggettività dei parametri, il che potrebbe dare adito a esiti giudiziali incerti in caso di contenzioso sollevato, ad esempio, dalle organizzazioni sindacali, dai lavoratori che si ritrovassero in una condizione secondo loro peggiorativa, o da imprese cedenti che si dovessero ritrovare in difficoltà coi pagamenti e cercassero una “sponda” nella responsabilità in solido, prevista dal Codice civile. In casi estremi, addirittura, la legge potrebbe rivelarsi un boomerang: infatti potrebbe addirittura incentivare le imprese uscenti a non pagare i propri dipendenti, nella prospettiva di una responsabilità solidale dell’articolo 2112 cc. E di conseguenza potrebbe, all’estremo, produrre conseguenze opposte allo scopo sugli stessi lavoratori, demotivando l’impresa cedente a un trattamento regolare, nella speranza perlomeno di dividere la “patata bollente” con il cessionario.

Legge europea 122/2016

CONTENUTI SUGGERITI