“Non c’è ingiustizia più grande che far parti uguali fra diversi”, diceva don Lorenzo Milani. Un pensiero che si attaglia perfettamente alla questione affrontata dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 9095 del 31 marzo 2023. Ma la situazione, in questo caso, è ben più complicata, e apre scenari impervi per le imprese, in particolare quelle del settore pulizie/ multiservizi/ servizi integrati dove i problemi legati alle assenze del personale, si sa, sono all’ordine del giorno.
La sostanza è così riassumibile: secondo gli Ermellini l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto ad un lavoratore disabile rappresenta una discriminazione indiretta, dal momento che questo è esposto al rischio di ulteriori assenze per malattia collegata alla disabilità. Così la Corte ha ribadito l’illegittimità del licenziamento nei confronti di un dipendente portatore di handicap ai sensi della legge 104/1992: il datore di lavoro ha infatti posto in essere una discriminazione di natura indiretta, avendo applicato l’articolo del Ccnl di riferimento in materia di comporto, senza distinguere assenze per malattia e assenze per patologie correlate alla disabilità.
Il fatto, nello specifico, riguarda un lavoratore in stato di disabilità certificata licenziato per superamento del periodo di comporto senza effettiva distinzione fra assenze per malattia e assenze correlate alla disabilità. Ebbene, al termine di un lungo iter giudiziario, la Suprema Corte ha chiarito che il recesso in oggetto va qualificato come discriminazione, essendo peraltro irrilevante che il datore di lavoro avesse conoscenza della specifica malattia che aveva dato luogo alla assenza.
La Corte ha infatti affrontato anche il tema della conoscibilità da parte del datore di lavoro delle cause dell’assenza, in una fattispecie nella quale la difesa dell’azienda aveva affermato di avere informato il lavoratore dell’approssimarsi del termine del comporto, invitandolo a dedurre in merito senza risposta. Nemmeno tale cautela, dunque, è bastata a legittimare il provvedimento. Già qui si potrebbe aprire un ragionamento: come può il datore di lavoro, se resta all’oscuro delle effettive cause dell’assenza, pretendere legittimamente la prestazione attesa (come da considerando 17 della Direttiva europea 78/2000 che incontreremo) ed eventualmente attuare i provvedimenti correttivi rispetto alla “neutralizzazione” di una parte delle assenze ai fini del computo del comporto? Una questione che, allo stato attuale, resta aperta.
D’altra parte, come è previsto dalla medesima Direttiva europea 2000/78 per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, vige l’obbligo datoriale di adottare “accomodamenti ragionevoli” idonei a consentire al lavoratore disabile di svolgere la sua prestazione in parità e sicurezza. Gli Ermellini fanno riferimento, a tale proposito, al dlgs 216/2003, attuativo della suddetta direttiva, laddove all’art. 2 lett. b) definisce “discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone portatrici di handicap in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Ma da ciò discende anche un principio ancor più generale e, se vogliamo, preoccupante per la tenuta dell’ordinamento: è infatti da considerarsi discriminatorio, a monte, ogni Contratto collettivo che non preveda una differenziazione del comporto per i lavoratori in stato di diversa abilità. Tale previsione, infatti, passa un “colpo di spugna” su evidenti differenze di condizione. Del resto la “neutralizzazione” di tutte le assenze ai fini del comporto non è ignota nell’ordinamento e nella disciplina pattizia, in quanto molti contratti collettivi la prevedono in via generale per i casi di infortunio.
Se consideriamo il Ccnl “Multiservizi”, vediamo che -come la stragrande maggioranza dei Contratti collettivi vigenti in Italia- esso non opera espresse distinzioni sul calcolo del comporto a tutela del personale in diverso stato di abilità. D’altra parte, lo sappiamo bene, il comporto nel settore delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati è fondamentale per scongiurare, o almeno limitare, il fenomeno dell’assenteismo “selvaggio” che rappresenta una oggettiva difficoltà nell’organizzazione del lavoro, fino a diventare in molti casi una vera e propria “piaga”.
Ora, se da un lato i giudici si limitano a rilevare l’illegittimità dei Ccnl “manchevoli”, dall’altro -né in effetti è loro compito farlo- non individuano una strada percorribile per contemperare il diritto del lavoratore a vedersi tutelato nella misura adeguata alle proprie condizioni oggettive con quello del datore ad esigere la prestazione lavorativa. Il problema è molto spinoso: come prevedere eventuali differenze di trattamento? Come graduare le assenze riportabili alla condizione di handicap? Prevedere eventuali “gradi intermedi” in relazione alla gravità della disabilità? Come evitare che, come spesso purtroppo accade, previsioni contrattuali e normative nate con le migliori intenzioni vengano distorte a vantaggio dei soliti “furbetti”? Il percorso non è semplice, e il rischio più immediato è la dichiarazione nullità di diversi licenziamenti in mancanza di una disciplina chiara, ben applicabile e tutelante per tutti.