Torniamo a parlare di un tema “di lungo periodo”, ossia la genuinità dell’appalto, per fare il punto della situazione a 20 anni dalla cd. “riforma Biagi”, concretizzatasi attuativamente nel dlgs 276/03, entrato in vigore sul finire di ottobre di quell’anno. Quest’ultimo, all’art. 29, come noto ha espressamente permesso l’esternalizzazione con servizi “labour intensive”.
D’accordo, ma quando un appalto è veramente genuino e quando, invece, è da considerarsi “spurio”, dunque illegittimo in quanto copre un reale rapporto di somministrazione di manodopera? Qui iniziano i problemi, visto che gli orientamenti dei giudici del lavoro sono diversi e tendono a verificare le situazioni caso per caso nel concreto. Per fare un esempio recente tra i tanti, la Corte di Cassazione Civile, nella sentenza n. 12551 del giugno 2020, richiama proprio i principi fondanti dell’appalto genuino ex dlgs 276/03: “Il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore. del rischio d’impresa”.
Nel caso considerato dagli Ermellini, ad esempio, “l’appaltante aveva gestito direttamente i dipendenti dell’appaltatore e questo rappresentava indice sufficiente della non autenticità dell’appalto; mentre il controllo dell’appaltante avrebbe dovuto essere relativo all’attività dell’appaltatore e non alle persone da questo dipendenti”.
Tra i rischi in cui incorre la committenza nel caso un appalto venga considerato illecito vi è quello di vedersi costretta all’assunzione dei dipendenti dell’appaltatore, legittimati ad agire direttamente nei suoi confronti, nonché alla corresponsione retroattiva delle retribuzioni maturate sino al momento dell’assunzione.
Ma vi è un pronunciamento, ancora più recente, della Cassazione Penale, che amplia il perimetro dei rischi. In particolare, nella sentenza 16302 del 27 gennaio 2022, si stabilisce che “la natura fittizia di un contratto di appalto stipulato al fine di coprire una somministrazione illecita di manodopera ne comporta la nullità con la conseguente indetraibilità dell’Iva, con l’ulteriore effetto che l’eventuale indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, realizzata avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti asseritamente riguardanti l’esecuzione del contratto fittizio di appalto, integra il reato di dichiarazione fraudolenta. Al che tale reato, concretizzatosi mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera, può inoltre concorrere con quello di intermediazione illegale di mano d’opera (articolo 18, Dlgs 276/2003)”.