Lo scorso 12 agosto è entrata in vigore la L. n. 96/2018 che ha convertito con modifiche il D.L. n. 87/2018. La legge di conversione ha tra l’altro reintrodotto, all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, il reato di somministrazione fraudolenta che si configura in tutti i casi in cui “la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”. L’illecito in questione è punito con la sanzione penale dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione, restando tuttavia ferma l’applicazione dell’art. 18 D.Lgs. n. 276/2003 che punisce con sanzione amministrativa le ipotesi di somministrazione illecita.
La somministrazione fraudolenta era già prevista, con formulazione identica, dall’art. 28 del D.Lgs. n. 276/2003, successivamente abrogato dall’art. 55 del D.Lgs. n. 81/2015. Su tale formulazione il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva già avuto occasione di esprimersi fornendo indicazioni al personale ispettivo, in particolare in relazione alla configurabilità dell’illecito nei casi di utilizzo dello schema negoziale dell’appalto (cfr. ML circ. n. 5/2011).
La circolare ML n. 5/2011 aveva già affrontato il tema dell’applicazione dell’art. 28 D.Lgs. n. 276/2003 alle ipotesi di appalto stipulato in assenza dei requisiti di cui all’art. 1655 c.c., al fine di eludere norme inderogabili di legge o contrattuali. A fronte di tale illecito, la circolare autorizzava gli ispettori del lavoro all’adozione della prescrizione obbligatoria nei confronti: – dello pseudo committente e dello pseudo appaltatore, attraverso l’intimazione alla immediata cessazione dell’azione antidoverosa; – del committente fraudolento alla regolarizzazione alle proprie dipendenze dei lavoratori impiegati. chiarendo altresì che, nei confronti del medesimo committente-utilizzatore fraudolento, poteva essere adottato il provvedimento di diffida accertativa per le somme maturate dai lavoratori impiegati nell’appalto a titolo di differenze retributive non corrisposte. Occorre in proposito anzitutto evidenziare che il ricorso ad un appalto illecito – e quindi alla somministrazione di lavoro in assenza dei requisiti di legge – già costituisce, di per sé, elemento sintomatico di una finalità fraudolenta, che il Legislatore ha inteso individuare nella elusione di “norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”. Tali norme possono individuarsi, a titolo esemplificativo, in quelle che stabiliscono la determinazione degli imponibili contributivi (art. 1, comma 1, del D.L. 338/1989) o, più direttamente, in quelle che introducono divieti alla somministrazione di lavoro (art. 32, D.Lgs. n. 81/2015) o prevedono determinati requisiti per la stipula del contratto (art. 32, D.Lgs. n. 81/2015) o, ancora, specifici limiti alla somministrazione (artt. 31 e 33 del D.Lgs. n. 81/2015). A fronte dell’utilizzo illecito dello schema negoziale dell’appalto, il conseguimento di effettivi risparmi sul costo del lavoro derivanti dalla applicazione del trattamento retributivo previsto dal CCNL dall’appaltatore e dal connesso minore imponibile contributivo, così come una accertata elusione dei divieti posti dalle disposizioni in materia di somministrazione, risulta sicuramente sufficiente a dimostrare quell’idoneità dell’azione antigiuridica che disvela l’intento fraudolento.
Giova ricordare che le principali caratteristiche dell’appalto “genuino” sono autonomia organizzativa, mezzi propri e assunzione del rischio d’impresa.
Ma il reato di somministrazione fraudolenta, ricorda l’Ispettorato, può realizzarsi anche al di fuori di una ipotesi di pseudo appalto, addirittura coinvolgendo agenzie di somministrazione autorizzate, oppure nell’ambito di distacchi di personale che comportino una elusione della disciplina di cui all’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003 ovvero ipotesi di distacco transnazionale “non autentico” ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. n. 136/2016.