Una “direttiva europea”, come è noto, è un atto che vincola gli Stati membri quanto agli obiettivi da raggiungere, lasciando un ampio margine di autonomia sulle modalità: in altre parole indica i risultati da conseguire facendo salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi con cui conseguirli.
Le norme italiane non rispettano lo spirito comunitario
Ma che succede se, in ultima analisi, tali obiettivi non vengono raggiunti? E ancor prima, chi e come decide se è stato tradito lo spirito del legislatore? E’ quanto starebbe accadendo in materia di appalti: nei giorni scorsi, infatti, la Commissione europea (l’organo deputato alla verifica della conformità dei recepimenti) ha reso pubblica la decisione di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia proprio a proposito della questione appalti. Secondo Bruxelles la legislazione italiana in materia (a partire dal Codice dlgs 50/16 che ha recepito in zona Cesarini le direttive europee del 2014) non sarebbe conforme alle norme UE, né allo spirito che le ha informate.
Aperta la procedura di infrazione
A questo punto, tutto lascia presagire una situazione non semplice, con una procedura di infrazione già avviata per la “mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 –nn. 23, 24 e 25- in materia di contratti pubblici”. Diciamo subito, anche se in questo caso non vale il detto “mal comune mezzo gaudio”, che non siamo soli: insieme a noi, altri 14 paesi UE. In particolare si tratta di Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Svezia e Ungheria. L’allarme arriva da numerose associazioni imprenditoriali, tra cui, nel settore dei servizi, Anip-Confindustria e Legacoop Produzione e Servizi.
Subappalto e avvalimento nel mirino
Numerose le norme italiane finite nel mirino, e che nemmeno il correttivo al codice dell’anno successivo (il dlgs 56/17, per intenderci) è riuscito a riallineare alla normativa europea. Almeno tre, in buona sostanza, gli aspetti su cui si concentrano i rilievi dell’Europa: subappalto, avvalimento e, onnipresenti, le clausole di esclusione (il discusso art. 80). C’era da aspettarselo, viste le numerose polemiche che, già all’indomani del recepimento, si erano sollevate su più fronti proprio su questi aspetti (vedi, ad esempio, le critiche dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili che già aveva chiesto a suo tempo una revisione di alcune regole in materia – ma qui parliamo di lavori).
Sei gli aspetti contestati sul subappalto
Ma cerchiamo di entrare più nel dettaglio. Quanto al subappalto, si evidenziano ben sei violazioni: dal divieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico all’obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti; dal divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso a un altro subappaltatore al divieto per il soggetto sulle cui capacità l’operatore intende fare affidamento di affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto, senza dimenticare i divieti per diversi offerenti in una determinata gara di fare affidamento sulle capacità dello stesso soggetto, per un potenziale subappaltatore indicato di presentare a sua volta offerta e per lo stesso soggetto di essere offerente e subappaltatore di un altro offerente; fino al divieto per gli offerenti di avvalersi delle capacità di altri soggetti quando il contratto riguarda progetti che richiedono opere complesse (questo, tuttavia, per ciò che concerne soprattutto i lavori).
Due mesi per intervenire: non ci sarebbe più molto tempo da perdere…
Intanto, proprio in questi giorni, è stata resa pubblica la decisione di procedere all’infrazione, e il 24 gennaio è arrivata la lettera europea di costituzione in mora in cui, come anticipato, si mettono in evidenza le carenze, sul fronte del recepimento, relative anche all’istituto dell’avvalimento e alle regole per l’esclusione dei concorrenti dalle gare pubbliche, dalle offerte anomale ai motivi stessi delle eventuali esclusioni. Profili di illegittimità che già a suo tempo erano stati oggetto di non pochi grattacapi, tanto che si vociferava che diversi correttivi fossero destinati ad entrare nel Dl semplificazioni. Ora, però, non c’è più tempo da perdere: con l’invio della lettera di messa in mora, infatti, l’Italia ha due mesi di tempo per fornire risposte efficaci e scongiurare che la procedura d’infrazione prosegua il suo iter. Uno scenario simile a quello che già si era prospettato nel 2017, anche se stavolta l’Europa sembra fare davvero sul serio: quanto ai particolari, la Commissione ha mantenuto assoluto riserbo sui dettagli, su cui molto probabilmente verrà fatta luce nelle prossime settimane.
Infrazione, c’è poco da scherzare!
Anche perché la procedura di infrazione (chiamata anche ricorso per inadempimento) non è uno scherzo: si tratta infatti di un “procedimento a carattere giurisdizionale eventuale, disciplinato dagli articoli 258 e 259 TFUE (Trattato su Funzionamento dell’Unione Europea), volto a sanzionare gli Stati membri dell’Unione europea responsabili della violazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario. La procedura d’infrazione può consistere, ad esempio, nella mancata attuazione di una norma europea oppure in una disposizione nazionale, o una prassi amministrativa, che risulti incompatibile con norme europee.
Le tre fasi della procedura (e le sanzioni salate…)
Il più classico esempio dei motivi che possono dar luogo a un’infrazione è rappresentato dal mancato recepimento di una direttiva entro il termine previsto, oppure, come nel nostro caso, il recepimento non in linea o non conformi. Tre le fasi:
1) precontenzioso, che è una fase informale in cui lo Stato membro -o gli Stati- viene avvisato con una lettera di messa in mora (e fino a qui ci siamo);
2) giurisdizionale o contenziosa, che è la fase in cui la Corte di Giustizia europea avvia un vero e proprio procedimento;
3) irrogazione delle sanzioni, che scattano qualora la procedura giunga al termine con una sentenza di condanna.
E’ proprio ciò che va scongiurato, anche perché lo Stato può essere multato con una sanzione che è stata fissata in 9 milioni di euro, per ogni giorno di ritardo vi è inoltre una sanzione aggiuntiva che varia tra i 22mila ai 700mila euro. Tutti soldi, manco a dirlo, che uscirebbero dalle nostre tasche.
Proprio al fine di scongiurare il peggio, in questi giorni si sta lavorando alacremente in quel di Palazzo Chigi: tramontata l’ipotesi decreto (il famoso “cantieri veloci” ventilato nei giorni scorsi), i rumors più accreditati testimonierebbero la volontà di procedere per “semplice” Ddl, più precisamente mediante un disegno di legge delega.
ANIP-Confindustria: «Infrazione Ue riguarda anche gare a massimo ribasso da noi sempre denunciate. Ora cambiare le norme»
«ANIP-Confindustria segue con interesse l’evolversi della procedura d’infrazione che la Commissione europea ha comunicato all’Italia in relazione alla non conformità del Codice Appalti rispetto alle direttive impartite da Bruxelles. Sin dal debutto del nuovo Codice, l’associazione denuncia con forza la necessità di migliorare le norme che regolano il mercato degli appalti, soprattutto per la mancanza di un vero e proprio argine alle offerte al massimo ribasso, vera spina nel fianco per il comparto dei Servizi. Per quanto a nostra conoscenza, l’Europa oggi bacchetta l’Italia perchè il Codice non esclude in automatico le offerte di gara economicamente troppo basse, dimostrando che la linea eccessivamente morbida – da noi sempre denunciata – ha creato e continuerà ad alimentare zone d’ombra e concorrenza sleale. La procedura d’infrazione diventa una opportunità seria, per il nostro Paese, di adeguare il Codice nel segno della trasparenza e della legalità, necessità ancor più pressante nell’industria dei Servizi che gioca un ruolo sempre più importante per l’economia dell’Italia». Lo dichiara in una nota il presidente di ANIP-Confindustria Lorenzo Mattioli.
Commissione UE 2018-2273 procedura infrazione appalti pubblici